Ogni volta che accendete un Mac, si avverte -forte e chiaro- un suono di avvio delicato ma imperioso; una sorta di “gong” digitale che vi avvisa del perfetto funzionamento della macchina (segnale che i test di avvio sono stati superati) e dell’inizio della fase di caricamento del Sistema Operativo. Sembra una cosa da niente, eppure vi assicuriamo che la storia di questa feature è complessa e perfino divertente.
I prototipi
Il suono di avvio è una caratteristica presente sui Macintosh fin dal primo modello, ma nel corso degli anni si è evoluta parecchio, ed è stata ritoccata moltissime volte. La prima versione era oggettivamente orrenda. In Revolution in the Valley, l’ex ingegnere Apple Andy Hertzfeld racconta di come Steve Jobs metteva pressioni sul team per ottenere un “beep di avvio” decente. Il problema coi primi prototipi nasceva da due ordini di motivi diversi: da una parte il computer non era potente come quelli di oggi, il che significa che il suono prodotto non poteva essere altrettanto sofisticato; dall’altra, il case ottundeva l’output audio, producendo un risultato ovattato e poco professionale. Qualcuno ebbe l’idea di praticare un buco nella scocca, così da lasciar fluire le onde sonore, ma Jobs fu categorico:
“Non è un miglioramento accettabile! Non metteremo mai un orrendo buco come quello nel case! Scordatevelo!”
Nel 1982, Hertzfeld e il suo team stavano lavorando già da tempo ad un sintetizzatore a quattro voci per la fase di boot, quando Jobs diede loro un ultimatum: o risolvevano il problema con una trovata adeguata entro il weekend (pasti offerti dall’iCEO in persona), o Apple avrebbe “rimosso l’amplificatore” dal prototipo. Poi, 48 ore dopo, gli ingegneri avevano creato non solo una demo a quattro voci come richiesto chiamata SoundLab, ma perfino un sistema per controllare la forma d’onda, la tonalità e la frequenza di ogni voce col clic del mouse. Il lunedì mattina Jobs fu molto soddisfatto, anche se “ci sarebbero voluti anni per tirar fuori tutto il potenziale della gestione sonora del Mac.”
L’uomo della provvidenza
Poi, nel 1988, Jim Reekes decise di fare un altro tentativo. Fino ad allora, il suono di avvio consisteva in un tritono, un accordo di tre note noto nell’800 come “intervallo del diavolo.” Per chi mastica di musica, parliamo dell’accordo mi fa# do. In un’intervista a Wired, Reekes spiega che “non ha solo una brutta reputazione. È letteralmente il suono più dissonante che si possa produrre.”
L’idea era di creare piuttosto qualcosa di più rilassante e perfino meditativo, vagamente zen. Ed è così che è nato il suono che tutti conosciamo:
Alla fine, ha adottato un bell’accordo di do maggiore a due mani. In stereo. Con andamento ondulatorio, da sinistra verso destra. C’è anche un po’ di riverbero all’interno. È generato attraverso una serie di archi che Jim descrive come un accattivante fiato a bambù. “È un suono calmo e sapevo che la gente avrebbe compreso il do maggiore, perfino i non musicisti. E sarebbe sembrato interessante anche a chi se ne intendeva. Col tipo di emozione che cercavo di evocare, stavo tentando di raggiungere un pubblico molto ampio.”
Il suono di startup che tutti conosciamo debuttò per la prima volta col Macintosh Quadra 700, ma per molti anni a seguire rischiò di essere cambiato nuovamente sulla spinta dei manager Apple. Poi, nel 1996 Jobs tornò al timone, e mise definitivamente una pietra sopra alla faccenda. E da allora, il suono di avvio è diventato a suo modo una sorta di classico.