Aggiornamento del 30 maggio 2019
Dopo mesi di inconcludenti tentativi di concertazione, il CEO e fondatore di Spotify Daniel Ek getta la spugna e si scaglia contro la “tassa Apple” che impone di versare il 30% di tutti i guadagni fatti su App Store, diretti e indiretti. Una pratica che costringe la sua società a imporre un abbonamento di 12.99$ al mese per poter rientrare dei 9.99$ che normalmente chiede al di fuori dell’ecosistema della mela. E in seguito a un botta e risposta tra le due società, arriva il J’Accuse pesante come un macigno: su App Store, Apple si comporterebbe come un monopolista. Ora arriva la risposta ufficiale -e prevedibile- di Apple.
Atto I
Apple, argomenta Ek, “applica una serie di restrizioni tecniche e di limitazione dell’esperienza” a tutti i suoi competitor, impedendo l’accesso a Siri, HomePod e Apple Watch. Tutte chicche che la mela terrebbe per sé, così da mantenere un distacco perenne e artificioso dalla concorrenza, causando però un danno agli utenti. Per queste ragioni, Spotify ha denunciato Cupertino alla Commissione Europea, avanzando tre richieste formali:
- 1. “Le app dovrebbero essere in grado di competere sul merito, e non sulla proprietà dell’App Store. Dovremmo tutti essere soggetti allo stesso set di regole eque e restrizioni, incluso Apple Music.”
- 2. “I consumatori dovrebbero avere una scelta reale sulle modalità di pagamento, e non essere ‘bloccati’ o forzati ad usare sistemi con tariffe discriminatorie come quelle di Apple.”
- 3.”Infine, agli App store non dovrebbe essere consentito di controllare le comunicazioni tra servizi e utenti, incluse restrizioni ingiuste sul marketing e sulle promozioni che vanno a vantaggio dei consumatori.”
Atto II
La risposta di Apple non si è fatta attendere, e in una lunga missiva, accusa l’altra di “retorica fuorviante.” Spotify, si legge, “cerca di mantenere tutti i benefici dell’ecosistema App Store, inclusi i guadagni importanti che derivano dai clienti dell’App Store, senza contribuire alla sussistenza del marketplace.” E c’è pure la stoccatina finale, sugli “scarsi contributi” che Spotify fa ad artisti, musicisti e autori, laddove Apple “supporta gli sviluppatori indipendenti, i musicisti, gli autori e i creatori di tutti i generi.”
Infine, la chiosa. “Spotify non sarebbe nel business in cui è oggi se non fosse per l’ecosistema App Store, e ora stanno avvantaggiandosi della loro grandezza per evitare di contribuire a mantenere l’ecosistema per la prossima generazione di imprenditori software. Pensiamo che sia sbagliato.”
Al momento, le politiche dell’App Store impongono agli sviluppatori di versare il 30% dei guadagni ad Apple; percentuale che scende al 15% negli anni successivi.
La risposta di Spotify
Quelli di Spotify non sembrano sorpresi della risposta ricevuta da Apple, e hanno rincarato la dose:
Ogni monopolista suggerirà di non aver fatto nulla di male, e dirà di avere sempre a cuore gli interessi di utenti e competitor. In questo senso, il responso di Apple alla nostra denuncia in seno alla Commissione Europea non è nuovo ed è perfettamente in linea con le nostre aspettative.
L’abbiamo denunciata perché le azioni di Apple danneggiano la concorrenza e i consumatori, e sono in chiara violazione della legge. Ciò è evidente quando Apple specifica che gli utenti su iOS sono clienti Apple e non clienti Spotify, il che ci porta al cuore della questione. Rispettiamo il processo che porterà la UE a fare le proprie valutazioni.”
Nel frattempo, Spotify ha lanciato un sito Web autonomo chiamato Time To Play Fair (“È Ora di Giocare Pulito”) con cui illustra il problema e spera di sensibilizzare l’opinione pubblica sugli svantaggi che derivano dalla situazione attuale.
Aggiornamento: Atto Ultimo
Come una sorta di excusatio non petita, o più probabilmente per prepararsi all’impatto delle indagini UE e delle class action in arrivo per le accuse di presunto monopolio, Apple è torna in queste ore sulla faccenda della concorrenza su App Store. E lo ha fatto lanciando una nuova pagina del proprio sito in cui spiega come funzionano le cose sul suo bazaar software.
“È il nostro store” si legge, “e ce ne assumiamo tutte le responsabilità.” “Quando scaricate un’app, dovrebbe funzionare come promesso. Passiamo attentamente in rassegna ogni app e chiediamo agli sviluppatori di aderire a rigide linee guida su privacy, design e modelli di business. Come parte di questo rigoroso processo di revisione, utilizziamo un insieme di sistemi automatizzati e decine di esperti umani. Questo team copre 81 lingue su tre fusi orari. Lavoriamo duramente per mantenere l’integrità dell’App Store.”
Parliamo di 100.000 app a settimana, mica bruscolini, e tassi di bocciatura di oltre il 40% per lo più a causa di bug e problemi di privacy. E qui entriamo finalmente nella sostanzia della questione. Gli sviluppatori hanno guadagnato nel corso del tempo oltre 120 miliardi di dollari dalla vendita di “servizi e beni digitali” grazie alle app distribuite nell’App Store; le commissioni di Apple vengono imposte solo quando “un bene digitale o un servizio viene consegnato attraverso un’app.” Il tutto, in un contesto in cui l’84% delle app a catalogo sono gratuite.
Il che è assolutamente vero, ed qualcosa di cui a Cupertino devono andare fieri. Ma il problema è un altro, ed è a monte (fermo restando che, sulle accuse di monopolio, i giudici sono gli unici legittimati ad esprimersi). Apple si fregia sempre di avere valori profondi a cui aderisce e in cui crede strenuamente; il suo scopo è di dare un contributo significativo all’umanità, attraverso le tecnologie e i dispositivi che crea, e questo è encomiabile. Ma in un mondo sempre più connesso e dipendente da Internet e dalle dinamiche social che spostano voti e creano dal nulla movimenti politici, iPhone e App Store assumono un’importanza capitale, forse addirittura strategica: è la creatura che sfugge al suo creatore e diventa di tutti. E a quel punto, è nella normalità della cose che venga studiata, sezionata, e normata col leggi ad hoc. L’App Store, in altre parole, sta diventando una faccenda molto più grande di Apple, ma è solo col tempo che si comprenderà davvero la portata di questa novità.