Nel tentativo di fare luce sulle dinamiche del mercato tecnologico, il Parlamento australiano ha avviato uno studio ad ampio respiro su tutta l’industria, coinvolgendo i vari player e chiedendo il loro punto di vista. E con l’occasione, il vice presidente di Apple Australia si è tolto più di un sassolino dalla scarpa. Lo racconta il Sydney Morning Herald:
I prezzi dei contenuti digitali si basano sui prezzi all’ingrosso negoziati con regolare contratto con le etichette della musica, gli studios televisivi e i network TV. […]”
È come se i legittimi detentori dei diritti, ha spiegato, operassero sulla base di “nozioni antiquate sui confini delle nazioni, dei territori o dei mercati,” ingenerando così una gran confusione degli utenti. Ciononostante, ha chiosato, i prezzi di iTunes in Australia restano “paragonabili agli altri negozi fisici e online australiani.” E quando la commissione gli ha chiesto se la mela detenesse forze sufficienti per influenzare i prezzi all’ingrosso, King ha risposto che dipende tutto dai content provider, aggiungendo che gli piacerebbe molto vedere “prezzi più economici e convenienti nel mercato australiano.”
Il grafico che vedete qui sopra è stato creato da MacStories, e mostra il divario esistente tra Stati Uniti e Australia, comparando tra loro i prezzi di film, musica, app e hardware epurati della differenti tassazioni; il risultato è sconcertante: nel paese Mac, iPad e iPod costano all’utentefinale il 10% in più, e con la musica i rincari superano il 60%. Una situazione intollerabile che ha portato il governo a interessarsi alla materia, e ad ascoltare molti altri soggetti dell’industria, come Adobe e Microsoft tra gli altri.