Una Corte federale di appello ha sollevato Samsung dal blocco delle vendite del suo Galaxy Nexus negli USA imposto qualche mese fa dal giudice Koh. I brevetti oggetto del contendere, infatti, non sarebbero direttamente funzionali all’eventuale successo di vendita di tali smartphone; motivo per cui, l’ingiunzione in primo grado non era necessaria.
Sarà stato l’eccessivo nervosismo del giudice, fatto sta che in secondo grado la sentenza originale è stata ribaltata. Nell’ordinare l’ingiunzione che impediva a Samsung di vendere alcuni suoi modelli di telefono, la Corte presieduta da Lucy Koh avrebbe “abusato della propria discrezionalità:”
L’ingiunzione preliminare sugli smartphone Samsung è in essere dal 30 giugno scorso, per mano del giudice della Corte distrettuale statunitense Lucy Koh, che poi ha anche seguito il caso sui brevetti di Apple contro Samsung. La decisione era principalmente basata sul brevetto 8086604, che viene definito una “interfaccia universale per reperire le informazioni su un sistema informatico.” L’intero brevetto sembra riferirsi ad uno strumento di ricerca unificato che potrebbe essere usato per scovare una gran varietà di differenti elementi attraverso uno database indicizzato. Ma potrebbe anche coprire un’interfaccia vocale unificata come Siri, o la ricerca vocale di Google Voice.
Al tempo, la Koh aveva detto che “Apple ha una teoria articolata e plausibile che dimostra un danno irreparabile” dovuto ad “una perdita di market-share nel lungo termine” e “perdite nelle vendite downstream.”
Insomma, non è affatto dimostrato che i danni causati dalla presunta violazione siano irreparabili, e quindi non è necessario disporre il blocco dei Galaxy sul mercato. E non c’entra nulla neppure la difesa accampata da Samsung, secondo cui le vendite di tali smartphone erano talmente “minuscole” da non poter costituire una minaccia per Cupertino. Non è filosofia; la legge qui ha il compito di accertare gli eventuali danni e fare in modo che vengano risarciti:
In altre parole, potrebbe benissimo darsi che i prodotti accusati venderebbero lo stesso pur senza il brevetto in questione. E anche in quel caso, cioè anche se i danni di competitività che derivano dalla vendita del dispositivo accusato fossero sostanziali, il danno che deriva dalla presunta infrazione -l’unico danno che dovrebbe contare- non lo è.
La patch software creata di concerto da Google e Samsung, insomma, è stata sufficiente, se non a impedire, quanto meno a dissolvere il blocco delle vendite. Il testo completo della sentenza, per chi avesse voglia e competenze per leggerlo, è disponibile a questa pagina in formato PDF.