Ora che anche Barnes & Noble ha rilasciato la sua applicazione eReader, le cose nel mercato della distribuzione digitale dei libri si fanno frastagliate. Anche perché, a giudicare dalle feature, è migliore non soltanto della app Kindle, ma persino della stessa iBooks di Cupertino.
Non dissimilmente dalle app per iPad concorrenti , l’e-reader B&N consente di acquistare titoli dall’enorme catalogo dell’editore, e infine di leggerli; ciò che cambia è la qualità ed il numero delle funzionalità integrate nel software, alcune mutuate direttamente dal Nook.
Innanzitutto, parliamo di un sistema multi-piattaforma, in grado di sincronizzare gli acquisti e le note su dispositivi mobili (è in arrivo l’app per Android), su e-reader compatibili, su Blackberry e computer tradizionali. I titoli a disposizione, per la maggior parte in lingua inglese, sono molti più di iBooks e raggiungono la ragguardevole cifra del milione, di poco inferiore alla disponibilità del Kindle di Amazon. Tra le feature più interessanti c’è la possibilità di prestare i libri, con tanto di badge sull’applicazione che riceve il prestito; peccato soltanto che la cosa sia possibile solo con una parte del catalogo.
La ricchezza delle funzioni di controllo, personalizzazione e ricerca, più il dizionario Merriam-Webster’s Collegiate integrato rendono questa app decisamente moderna e più efficiente delle controparti concorrenti. D’altro canto alcune sue parti, come il meccanismo di acquisto o la consultazione del testo prima dell’acquisto (per cui viene aperto ogni volta una sessione di Safari Mobile), risultano un po’ farraginose. Ma i nuovi aggiornamenti già in programma promettono di risolvere uno per uno i difetti riscontrati dagli utenti.
Il futuro, è evidente, è sempre meno legato all’hardware: ciò che le società come Amazon, Barnes & Noble e per certi versi la stessa Apple tentano di fare è di irretire l’utente e incastrarlo in una piattaforma, di incastonarlo all’interno di un ecosistema: in altre parole, non è importante dove avviene fisicamente la fruizione, ma lo store da cui vengono acquistati i contenuti. Qui però si apre l’annoso problema dei DRM, che in pratica sono sempre incompatibili tra le diverse piattaforme; la pluralità degli store e la concorrenza tra loro consentirà certamente risparmi ragguardevoli per l’utenza, ma chi garantisce che questa o quella piattaforma dureranno per sempre? Chi garantisce che i tomi virtuali saranno sempre e comunque fruibili? Non sarebbe invece auspicabile un livello minimo di interoperabilità? L’unica risposta onesta è che non si possono fare previsioni. Intanto, però, l’utente paga.