Zach Ward e Thomas Buchar stanno dando inizio ad un’azione legale collettiva presso la Corte del Distretto Nord della California contro Cupertino e il suo iPhone. Secondo l’accusa, quando nel 2007 Apple si è accordata in esclusiva per 5 anni sull’operator lock con AT&T, avrebbe violato le regole anti-monopolistiche imposte dallo Sherman Act. In pratica, avrebbe prima dovuto chiedere l’autorizzazione agli utenti.
Per tutelare gli accordi stipulati privatamente col colosso delle TLC statunitensi, la mela ha attuato una serie di blocchi software che impedivano ai consumatori di utilizzare il proprio dispositivo con altri carrier. Ciò tuttavia, secondo Ward e Buchar, è in contrasto col Digital Millennium Copyright Act che invece consente le modifiche al dispositivo per aggirare l’operator lock:
“Attraverso queste azioni, Apple ha illegittimamente soffocato la competizione, riducendo la produttività e la scelta del consumatore, e soprattutto ha creato prezzi artificiosamente più alti nell’aftermarket dei servizi voce e dati dell’iPhone” hanno spiegato i ricorrenti nel testo della causa.
Oltre ai risarcimento dei danni materiali, i due chiedono anche un’ingiunzione che vieti ad Apple di continuare a praticare l’operator lock sugli iPhone e che le imponga soprattutto di distribuire su richiesta dell’utente i codici di sblocco del telefono, così da ottemperare alle richieste del Digital Millennium Copyright Act. Inoltre, si richiede anche che sia impedita la vendita degli iPhone senza prima un’adeguata informazione sui limiti dell’operator lock e senza prima un’adesione formale da parte dell’acquirente.
Per ora, comunque, siamo ancora nel limbo delle possibilità. Il giudice deve ancora stabilire l’ammissibilità della class action, il che non è affatto scontato: nel 2011, nel caso AT&T vs.Concepcion, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha sostanzialmente deliberato che gli utenti “non possono più intentare azioni collettive contro i gestori” poiché l’arbitrato -ovvero la risoluzione delle controversie senza un procedimento giudiziario- “soddisfaceva già i termini basilari della ragionevolezza.” Questa volta, però, l’impianto accusatorio non attacca un carrier ma un produttore e i suoi accordi privati: e questa sottigliezza può fare tutta la differenza del mondo.