Il messaggio che vedete qui sopra non ha bisogno di una traduzione nella nostra lingua, nonostante la sezione oscurata. Sembra incredibile, eppure è stato diramato attraverso l’account Twitter di iBookstore, solitamente utilizzato per pubblicizzare le novità editoriali e i consigli per gli acquisti.
Per carità, nulla di grave, tanto più che l’errore è stato prontamente corretto pochi istanti dopo. Ma la frittata oramai era fatta, e ai più non è sfuggita la beffarda ironia della situazione: da una parte Apple si riserva il diritto di decidere cosa passa e cosa no sul suo store attraverso sofisticate politiche di scrematura, e dall’altra si lascia scappare un tweet simile. Ricordate? La politica è tollerata per libri e musica, ma non per le app; i contenuti piccanti vanno evitati toutcourt, sia che si tratti di app che di media troppo spinti. E comunque, niente collegamenti agli store della concorrenza o riferimenti ad Android, ma questa è un’altra storia.
I commenti di risposta degli utenti quanto mai variegati. Da una parte c’è la mamma e maestra che smette di seguire l’account perché “non è stato affatto un retweet divertente;” dall’altra c’è chi pretende una spiegazione formale, e qualcun altro se la ride beatamente:
Non è che mi sia offeso, intendiamoci, però quel retweet è stato veramente sorprendente. Ma come, proprio loro con tutti i loro discorsi sulla moderazione del linguaggio?
E in effetti, come dimenticare la vicenda dello sfortunato NinjaWords, il dizionario –tuttora esistente– che ha dovuto penare 2 mesi per l’approvazione su App Store? Ci sono voluti ben tre rifiuti, per capire che il problema erano le parolacce di uso comune presenti nel database dei lemmi. E dopo un passato così puritano, guarda tu che fine ha fatto la mela.