Se c’è una cosa che Apple ha sempre avuto, questa è sicuramente l’immagine.
Anche negli anni bui della gestione Amelio, quando nei prodotti che uscivano da Cupertino di innovativo c’era ben poco, l’immagine della mela multicolore rimaneva tra le più forti al mondo, al pari dello swoosh della Nike e della forma della bottiglietta di Coca-Cola.
Fortunatamente, il ritorno di Steve Jobs ha riavviato quel processo di innovazione che aveva fatto grande Apple negli anni ’80, e ha consentito all’azienda di crescere a ritmi incredibili, diventando (più che tornando) un vero colosso del settore.
La mela morsicata del nuovo millennio, tuttavia, sembrava avere perso parte di quella connessione speciale con i suoi utenti. Utenti che sono sempre stati la vera forza di Cupertino, che hanno consentito all’azienda di restare a galla anche in periodi di fortissima tempesta; utenti che assomigliano più ad adepti, come dicono i detrattori non discostandosi troppo dalla verità.
La strada imboccata dal management Apple tendeva, però, a distanziarsi da questi ultimi, immolati al raggiungimento di quote di mercato più ampie.
Questo ha indubbiamente rafforzato il brand della mela, ma ha portato con sè una nuova immagine, non del tutto positiva.
Apple è stata per anni più che un semplice fornitore di hardware e software, ma un vero e proprio partner nel processo creativo e lavorativo dei propri clienti. Un esempio su tutti: fino al 1998 chi acquistava un Macintosh poteva usufruire di supporto telefonico personalizzato a vita. Finanziariamente era un disastro per le casse di Cupertino, ma più di ogni altro servizio contribuiva a rendere speciale il rapporto con la clientela. La dura ritsrutturazione voluta da Jobs ha chiuso il servizio nel giugno dello stesso ’98, con tanto di strascici legali.
Ecco, dunque, che Apple si è in parte uniformata alla condotta delle altre multinazionali. Pur continuando a mietere successi, certe scelte operate da Cupertino sono state difficili da digerire dai clienti più appassionati, quantomeno per mancanza di una spiegazione chiara da parte dei vertici dell’azienda.
Questo problema di comunicazione si è reso palese principalmente in due occasioni: la questione del DRM e le polemiche con GreenPeace.
Steve Jobs, non sappiamo se autonomamente o imboccato dai suoi collaboratori, ha capito la necessità di spiegare in maniera più approfondita e diretta le ragioni delle scelte e le prospettive dell’azienda e ha messo in pratica tutto ciò nella maniera più semplice possibile: parlando apertamente con i propri clienti.
Trasformandosi in un vero e proprio blogger, l’iCEO sta cercando di recuperare la distanza dagli utenti (e dai gruppi organizzati di essi) per ricucire un rapporto che si stava lentamente logorando.
Questo nuovo approccio sembra stare ottenendo dei risultati, su più fronti. Da un lato è fin troppo ovvio comprendere come sentirsi dire certe cose direttamente dal capo di una azienda è, per un semplice utente piuttosto che per una associazione di consumatori o per una organizzazione ambientalista, un’esperienza molto diversa dal leggere un freddo e anonimo comunciato stampa.
Dall’altro lato, forte di uno stretto linkage con le comunità, il management Apple dispone di una nuova e più forte piattaforma da cui partire nelle trattative con le aziende partner (e il caso “DRM” con il conseguente accordo con EMI ne è un esempio lampante).
Se poi, addirittura, nei post di Steve Jobs sono contenute accuse dirette e/o pubbliche scuse, la presa nei cuori degli utenti è assicurata.
Certo, si obietterà, rimane da vedere cosa verrà mantenuto di quanto promesso.
Fino a quando, tuttavia, ci sarà la convenienza a mantenere, saranno accontentati tutti: siamo pur sempre nel mondo degli affari e anche il semplice pronunciare “I have a dream…” ha un prezzo…