Quando a Cupertino, in un impeto di saccenteria, hanno deciso di tagliare il cordone ombelicale coi servizi di Google e lanciare una soluzione di mappe creata internamente, è accaduto un finimondo. Da una parte c’era l’utenza scontenta, bloccata su iOS 6 e momentaneamente impossibilitata ad usare Google Maps; dall’altra c’erano i competitor a fare festa, con geniali campagne di marketing volte a sottolineare senza pietà il flop. Tant’è che Tim Cook è stato costretto a scrivere una lettera di scuse, a licenziare Forstall e a mettere su un team ad hoc per fronteggiare l’emergenza in tempi rapidi.
Ciononostante, il CEO di Waze Noam Bardin si dice sorpreso per tanta avversione da parte del pubblico, anche se a onor del vero non gli deve essere dispiaciuta neppure più di tanto. Subito dopo la deflagrazione del caso, infatti, Apple ha iniziato a suggerire alternative di terze parti in attesa che la sua cartografia diventasse più completa, e tra queste capeggiava per l’appunto Waze.
A parte questo, comunque, c’è molta verità in quel che spiega poco dopo. Per quanto concerne le mappe online, gli utenti si sono fatti estremamente esigenti. E se è vero che “solo due anni fa le mappe Apple sarebbero risultate più che adeguate” oggi questo non è più il caso, e la colpa o il merito -manco a dirlo- è di Redmond:
“Google è lì fuori che crea lo standard di qualità. Ma ci sembra di essere i loro unici e veri competitor. Si vocifera che spendano 1 o 2 miliardi di dollari l’anno solo per quella feature.”
Una quantità di denaro inimmaginabile per piccole realtà come TomTom, da cui Apple compra i dati per le sue mappe. Anzi, a onor del vero, all’inizio dell’anno si era sparsa la voce che Apple stesse sul punto di acquisire Waze, senonché si scoprì poco dopo che era tutto “inventato di sana pianta.” Sarà, ma allora per quale ragione Bardin ha schivato con tanta cura le domande esplicite sull’argomento? E perché è rimasto sul vago parlando del rapporto con Apple? L’ipotesi è che Waze sia uno dei fornitori di POI e cartografie per Cupertino, ma l’argomento a quanto pare è tabù. Una reticenza quanto meno curiosa, per una società che si affanna a negare ogni presunto legame con la mela.
Photo | Engadget