Il senatore democratico Al Franken, lo stesso che intervenne a gamba tesa sulla faccenda di Facetime 3G a pagamento, ha scritto una lunga missiva indirizzata alla persona di Tim Cook e riguardante il sensore di impronte digitali Touch ID incastonato nell’iPhone 5s. Il timore è che informazioni tanto confidenziali possano finire nelle mani di malintenzionati, e provocare grossi guai:
È chiaro che Apple abbia lavorato sodo per rendere sicura questa tecnologia e per implementarla responsabilmente. A quanto pare, l’iPhone 5s conserva le impronte digitali localmente “su chip” in un formato crittografato; e impedisce inoltre alle app di terze parti di accedere al Touch ID. Eppure, rimangono alcune questioni importanti riguardo alle modalità in cui opera tale tecnologia, i piani futuri e l’eventuale protezione legale.
Senza contare che le scelte ingegneristiche messe a punto da Cupertino, per quanto studiate in ogni minimo dettaglio, “spingeranno i competitor grandi e piccoli a gettarsi nelle tecnologie biometriche” e non tutti saranno altrettanto scrupolosi. Ecco perché Franken ha posto 12 domande all’iCEO, in cui chiede innanzitutto se è possibile convertire i dati localizzati localmente in un formato che sia utilizzabile in qualche modo da terze parti. Se sia possibile estrarre o ottenere impronte digitali da un iphone 5s per via remota o con accesso fisico al dispositivo. Quali informazioni diagnostiche l’iPhone 5s invia ad Apple riguardo il sistema Touch ID; e infine, con un riferimento esplicito alla legislazione vigente, se i dati sulle impronte siano classificati presso Cupertino come “informazioni sull’utente” o “registrazioni transazionali di comunicazione elettronica;” se, insomma, costituiscano semplicemente “il numero o l’identità di un utente” come si richiede nello Stored Communications Act, o se invece vengano trattati come “oggetti tangibili” come imposto dal PATRIOT Act.
Quest’ultima parte potrà apparire un inutile cavillo burocratico, ma in realtà è il nodo che regola la divulgazione delle impronte digitali alle forze dell’ordine e alle agenzie governative.
A parte di queste domande, Apple ha già risposto con un documento di supporto ufficiale, al momento disponibile solo inglese. Scorrendolo, si scopre ad esempio che sul dispositivo non viene registrata alcuna immagine delle impronte, ma solo la loro rappresentazione matematica, e che non è possibile risalire da questa all’impronta originale. E visto che è tutto crittografato e fisicamente separato dal resto della componentistica, un database non soltanto non è accessibile all’OS e alle app, ma non è neppure utilizzabile se non nel dispositivo che l’ha generato.
Il senatore, ad ogni modo, ha concesso a Cook 30 giorni per controbattere; ovviamente, si non c’è alcun obbligo di legge che imponga una risposta ufficiale, ma è praticamente scontato che Apple collaborerà. Dopotutto, ne va del buon nome della mela.