Il New York Times scrive che il database nazionale dei telefoni rubati sta registrando scarsissimi risultati nel contenimento del fenomeno dei furti, visto che gran parte dei gingilli illegalmente ottenuti finiscono all’estero, dove la lista non è presente.
Ma ci sono anche altre ragioni più sofisticate. Ad esempio, con le conoscenze e gli strumenti giusti, le organizzazioni criminali possono modificare l’identificativo unico del telefono, rendendo la black-list inefficace. Non sorprende quindi che le autorità USA siano arrivate a chiedere ai produttori una soluzione drastica ma dai risultati garantiti. L’ipotesi allo studio è una sorta di interruttore nascosto nel dispositivo e azionabile da remoto, in grado di renderlo inoperativo:
George Gascón, legale del distretto di San Francisco afferma che i produttori come Apple dovrebbero esplorare nuove tecnologie che possano aiutare a prevenire il furto. A marzo, ha detto, si è incontrato con un dirigente Apple, Michael Foulkes, addetto alla gestione dell relazioni governative, per discutere il modo in cui la società dovrebbe migliorare la sua tecnologia antifurto. Ma ha lasciato il meeting senza alcuna promessa che Apple stesse lavorando sulla cosa.
Ha quindi aggiunto che “Diversamente da altri tipi di crimini, questo potrebbe essere facilmente risolto con una soluzione tecnologica.”
E in effetti, non capiamo dove sia il problema, e anzi ci meravigliamo che nel 2013 si stia ancora discutendo della faccenda. In fondo, non dovrebbe essere impossibile creare un database mondiale dei telefoni rubati cui abbiano accesso sicuro solo i gestori; e anche il killer-switch, per un blasone come Apple, non dovrebbe certo rappresentare un’impasse tecnico insormontabile. Alcuni additano la lentezza di reazione alla scarsa convenienza da parte dei produttori; dopotutto, è evidente, ogni smartphone rubato corrisponde quasi sempre ad un nuovo acquisto di lì a poco.
A onor del vero, Apple incoraggia i suoi utenti ad attivare ‘Trova il mio iPhone’ ma c’è da dire che la cosa funziona meglio come coadiuvante al successo di iCloud che come deterrente ai furti. Curioso poi che Google su Android non abbia previsto un servizio analogo; per quello, i nostri cugini sono costretti a rivolgersi ad app di terze parti.