A quanto pare Foxconn era seria: ci sarà davvero un iPhone Made in USA, e tra 30 giorni conosceremo lo Stato in cui verrà collocato il primo impianto di produzione.
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Detto fatto. Foxconn si prepara a investire 10 miliardi di dollari nell’economia statunitense, 7 dei quali serviranno agli impianti per i display delle future generazioni di iPhone, e il resto per altra componentistica. Secondo Bloomberg, esisterebbe già perfino una lista di Stati papabili, selezionati in base a questioni di logistica e contenimento dei costi. Sono tutti localizzati nel midwest: Ohio, Pennsylvania, Michigan, Illinois, Wisconsin, Indiana e Texas.
“I nostri investimenti negli USA,” ha spiegato il CEO di Foxconn, Terry Gou, “si focalizzerà in questi Stati perché rappresentano il cuore del settore manifatturiero del paese. Stiamo portando la nostra interna catena industriale nelle regioni manifatturiere tradizionali degli Stati Uniti. Parliamo di produzione, packaging dei semiconduttori e tecnologie Cloud.”
Si vocifera -è tutto ancora da confermare- che questa mossa potrebbe creare “decine di migliaia di nuovi posti di lavoro” ma qualcosa non torna. Fino al momento dell’insediamento di Trump, infatti, Foxconn aveva annunciato importanti investimenti nel campo dell’automazione: oltre 40.000 robot sono già stati implementati nelle linee di produzione attuali, e molti altri verranno arriveranno nei prossimi anni. L’obiettivo finale è di arrivare a impianti completamente automatizzati, e le stesse location a stelle e strisce vengono descritte come “ad alto livello di automazione.”
Dal canto suo, è noto che Apple abbia avviato da tempo un tavolo di trattative coi produttori partner per sondare la possibilità di portare negli USA la produzione di iPhone, ma Tim Cook stesso ha bollato l’idea come poco pratica. E non parliamo solo di contenimento dei costi: è stato stimato infatti che un iPhone interamente prodotto negli USA aggiungerebbe 30-40$ sul prezzo del prodotto finito; nulla di sconvolgente. Il vero problema è a monte: ci sono le figure professionali, la flessibilità e la velocità che caratterizza il mercato asiatico? È la risposta a questa domanda che farà la differenza tra ciarle politiche e cambiamenti concreti.