Quello della mela, tecnologicamente parlando, è sempre stato un mondo piuttosto chiuso. E, a seconda delle fasi della storia di Apple, i motivi di questa chiusura sono stati molteplici: scarso interesse dei prodotti concorrenti, crisi tecnologiche, congiunture di mercato, imposizioni dei partner, ecc. Ma mai, almeno fino ad ora, la chiusura è stata una precisa strategia commerciale.
Diciamo “fino ad ora” perché negli ultimi tempi siamo stati testimoni di alcune scelte abbastanza preoccupanti operate da Cupertino. Prima il chip TrustZone su iPhone, poi i nuovi iPod che, ad esempio, pare non possano funzionare con periferiche video non approvate da Apple: c’è un chip, dentro i nuovi player, che si occupa proprio di questa verifica. Sempre i nuovi iPod, poi, non potranno (almeno senza sostanziali interventi nel firmware) essere utilizzati con software diverso da iTunes: sono presenti alcune righe di codice criptato che hanno il compito di verificare la validità dell’impronta digitale fornita dal software residente sul computer e se la verifica non viene superata, l’iPod finge di non avere brani al suo interno.
Da Wikipedia impariamo che il “Trusted Computing è un insieme di tecnologie, hardware e software che, con l’intento dichiarato di rendere una piattaforma informatica più sicura, impone restrizioni su applicazioni ritenute non desiderabili dai produttori“.
Sovrapponendo i due paragrafi qui sopra, le somiglianze paiono evidenti. Chi ha seguito il mondo informatico negli ultimi anni ricorda sicuramente lo spauracchio di Palladium e dei rischi che si profilavano all’orizzonte: il bello è che, quando tutti tenevamo d’occhio il mondo dei personal computer per evitare brutti scherzi dalle aziende, ci siamo ritrovati il trusted computing sui dispositivi multimediali.
In passato, pur presi in contropiede da alcune scelte radicali da parte di Apple, abbiamo capito le ragioni di queste deviazioni di rotta per riconoscerne, a posteriori, la validità: l’abbandono di Apple Desktop Bus in favore di USB si rivelò azzeccato, la dismissione del floppy disk pure, così come la migrazione prima a Mac OS X e poi ad Intel.
Nel tempo abbiamo imparato a capire la filosofia del “Think Different”, e anche quella del “less is better”, ma questa volta sarà dura seguire la rotta tracciata da Cupertino. Una rotta che, temiamo, non potrà portare vantaggi ad Apple, fatti salvi maggiori introiti nel breve/medio periodo.
E non è nemmeno una questione di libertà, parolone spesso abusato negli ultimi tempi: qui il problema sta nelle limitazioni di utilizzo imposte all’utente, senza che gli venga dato in cambio alcun vantaggio. Non più sicurezza, non più versatilità o compatibilità. Nulla di nulla.
Se continuerà su questa strada, Apple si troverà con interessi (pur legittimi) sempre più distanti da quelli dei propri utenti, incatenata ad un modello di business che è stato dimostrato perdente.
E sapete chi l’ha dimostrato? Proprio la stessa Apple, con il progetto iTunes Music Store che ha fatto capire al mondo della musica che andando incontro agli interessi degli utenti si potevano fare molti più soldi di quanti ne ne potessero fare richiudendosi a riccio.
Infatti, la strategia del riccio difficilmente paga, anche se si è il leader indiscusso di un mercato.