In Australia, il governo ha formalmente richiesto ad Apple, Microsoft e Adobe di fare luce sulle proprie strategie di vendita. C’è infatti una certa disparità tra i prezzi finali al pubblico praticati negli USA e quelli che si vedono sugli scaffali del paese; e questa volta non potranno tirarsi indietro.
Da principio, i tre pezzi grossi dell’high tech a stelle e strisce erano stati invitati a partecipare ad un’audizione pubblica sulla questione dei prezzi del mondo IT. Poi, visto che nessuno si è presentato con le buone, il governo ha diramato una convocazione ufficiale dinnanzi al membro del parlamento Ed Husic, cui Apple, Adobe e Microsoft dovranno rispondere forzosamente. L’alternativa, infatti, è una rappresaglia legale:
Queste società avrebbero dovuto cooperare ed essere pronte a diventare più aperte e trasparenti sulle loro politiche di prezzi. […]
Adobe, Apple e Microsoft sono solo alcune di quelle società che continuano a sfidare la richiesta pubblica di risposte, e che si sono rifiutate di apparire dinnanzi all’audizione pubblica sui prezzi dell’IT.
Solitamente, sui prodotti con la mela si verificano fluttuazioni anche poderose dei prezzi di vendita offerti al pubblico dei vari Apple Store del mondo. Talvolta i rialzi sono giustificati dalla diversa tassazione, dalla presenza di balzelli vari (tipo equo compenso e Siae), ma anche dalla logistica e dai trasporti. Il resto, però, dipende spudoratamente dalla strategia di mercato. Ricordate le carovane di utenti che partivano alla volta dell’Inghilterra per pagare meno l’iPhone 5? Con le centinaia d’Euro risparmiate per i modelli più cari ci si sovvenzionavano il vitto e l’alloggio all’estero, e spesso avanzava pure qualcosa.
E in effetti, l’iMac 27″ costa 1.799$ negli USA (1.343€), 1.999A$ in Australia (1.527€) e 1.499£ in UK (1.746€); ma se sottraiamo le tasse dai prezzi internazionali -in quelli USA sono già scorporati- otteniamo che lo stesso iMac viene 1.817A$ (1.388€) e (1.455€): parliamo rispettivamente di incrementi pari a +3,8% e +8,9%. E il medesimo applicato all”iPod touch rivela aumenti nell’ordine dell0 0,9% in Australia e del 4,5% in UK.
Ma se in questo caso si può spiegare almeno parzialmente le discrepanze con la disomogeneità dei costi di distribuzione nelle varie nazioni, che scusa ha Apple coi brani dell’iTunes Store? Sono commercializzati a 1,29$ negli USA e 1,99$+tasse in Australia, eppure non sono beni fisici da spostare.
Al di là della questione, comunque, troviamo francamente fastidioso -per non dire vergognoso- che un governo debba ricorrere ai mezzi forti per ottenere l’attenzione di una multinazionale, per quanto grossa e ramificata. L’arroganza che Apple ostenta in occidente, spesso confusa col suo stile, è inversamente proporzionale alla reverenza mostrata in oriente, e anche questo la dice lunga sullo stato delle cose.
Ad ogni modo, l’audizione pubblica è fissata per il prossimo 22 marzo.