Un articolo bello e profondo è apparso sul New York Times di oggi, a firma di Verlyn Klinkenborg. Il tema è quello – tutto da discutere – della tipografia ai tempi dell’iPad.
Due sono le riflessioni più importanti che Verlyn propone. Una riguarda la discrepanza, non sempre a vantaggio del lettore, fra contenuti e forma degli ebook. Un rischio molto forte. La seconda riguarda l’aspetto “sociale” della lettura, probabilmente destinato a tramontare sempre più, lasciando spazio a un rinnovato individualismo. Strano che il pericolo sia in agguato in un periodo così fortemente – apparentemente – votato al social.
“Quando si tratta di edizioni digitali, si assume che tutti i libri siano creati eguali. Niente di più falso. Nella massiccia migrazione dalla carta al digitale, vediamo un grosso numero di titoli – molti dei quali non più protetti da copyright – che all’apparenza sono nuovi, ‘in alta definizione’, ma molti dei quali sono da tempo stati soppiantati da edizioni più accurate e migliori traduzioni. Abbiamo bisogno di guide alla lettura digitale, qualcosa grazie alla quale i lettori possano rendersi conto se si trovano o no di fronte alla migliore edizione disponibile”.
“Alla base di Kindle di Amazon e di iBooks di Apple c’è il concetto per cui non puoi leggere un libro se non lo possiedi tu per primo. E solo tu lo potrai leggere, a meno che non decidi di prestare il dispositivo intero. Ciò va contro il valore sociale della lettura, la memoria collettiva e collaborativa che deriva dall’accesso a biblioteche condivise. Questa non è una cosa buona per i lettori, per gli autori e per la nostra cultura”.
Il pezzo prosegue, dettagliatissimo di impressioni di lettura, come dice il titolo stesso, di un “novizio” della lettura elettronica su iPad. Andrebbe letto tutto. Curioso il passaggio in cui avvengono le “rimostranze” per un fenomeno, tutto sommato, passato in secondo piano: perché, quando il nostro bravo ebook è aperto su iPad, accennare graficamente alla simulazione della copertina, delle spessore delle pagine già lette e di quelle ancora da sfogliare, se poi quello spessore resta sempre uguale a 6 pagine da una parte, e 6 dall’altra? Perché fare le cose a metà, quando quelle pagine in più da leggere, che si assottigliano sempre di più, sono uno dei capisaldi dell’esperienza della lettura tradizionale?