Non è facile la vita di un impiegato Apple Store. La paga è bassa, i bonus scarsi, e spesso capita perfino di ricevere minacce di morte da utenti inferociti. Confessioni di un ex-commesso.
[related layout=”big” permalink=”https://www.melablog.it/post/191037/apple-store-ecco-come-sono-fatti-i-negozi-del-futuro”]In occasione del 15esimo anniversario degli Apple Store, Cupertino mostra in anteprima gli elementi di design e i programmi per la comunità del nuovo punto vendita in Union Square a San Francisco, il primo a lanciare le caratteristiche e i servizi che approderanno presto nei negozi Apple del resto del mondo.[/related]
[related layout=”right” permalink=”https://www.melablog.it/post/190859/apple-store-vs-microsoft-store-il-pubblico-preferisce-la-mela”]Erano nati come cloni degli Apple Store, ma non hanno avuto le stesse fortune. Ad oggi, in molti Microsoft Store ci sono mediamente più commessi che clienti.[/related]
Sembra passato un secolo dagli scioperi dei dipendenti Apple Store francesi del 2012, e ancora di più da quelli cinesi, americani e dalle proteste italiane nel 2011. Eppure, le condizioni di lavoro e le paghe non sono cambiate granché da allora; anzi, la situazione è più complicata che mai, verrebbe da dire.
Sfidando i contraccolpi legali di Cupertino, un ex-dipendente degli Apple Store inglesi ha infatti spifferato alcuni dettagli del vecchio impiego protetti da Non-Disclosure Agreement. Si scopre così che la paga è di appena 8£ l’ora (10,50€), e che lo staff non riceve alcun incentivo alle vendite, neppure se piazza un contratto business da migliaia di Sterline. Niente promozioni interne, e soprattutto molta rigidità: i contratti part-time non vengono mai convertiti in full-time e viceversa.
Le posizioni più redditizie sono quelle che stanno dietro al Genius Bar, ma tutti le odiano perché hanno a che fare con clienti arrabbiati; sono quelli che, più spesso degli altri, ricevono insulti e minacce di morte.
E poi c’è il “lavaggio del cervello” continuo, il controllo maniacale, i riti quotidiani e le richieste assurde come quella di creare un legame, una connessione con ogni singolo cliente fino a “conoscerne il gusto di gelato preferito.” Un compito arduo, non sempre necessario (chi scrive, già informato su prodotti e novità, trova la pratica infinitamente tediosa e inutile: se entro in uno store per comprare un Mac, so già che modello voglio e perché, non mi serve la lezioncina) che finisce per allungare i tempi di attesa per tutti gli altri.
Gli aspetti positivi di questo lavoro, alla fin fine, si riducono agli sconti generosi sull’hardware, al 15% di sconto sulle azioni Apple e, occasionalmente, all’accesso diretto a Tim Cook. Per il resto, è un lavoro pesante, stressante e rigidamente codificato, che oltretutto fa pure guadagnare poco anche come manager. E se un dipendente entra con un Samsung in negozio, non viene licenziato: di certo, però, non fa neppure bella figura.