Apple avrebbe reso nota la quota di iPhone acquistati e poi non attivati con l’operatore AT&T. Si tratterebbe di una cifra compresa tra le 250.000 e le 300.000 unità, un numero di almeno un ordine di grandezza superiore a quanto veniva ipotizzato in precedenza, ovvero circa il 17% del totale di iPhone venduti.
Più che l’esborso economico, a spaventare gli utenti sarebbe il lungo impegno (2 anni) richiesto dal contratto con AT&T, e l’impossibilità, comunque, di utilizzare altre SIM.
Apple si trova, quindi, a dover giustificare la cosa ai suoi partner telefonici, che, ricordiamolo, le versano una quota del canone: una situazione spinosa, di non facile soluzione.
Da un lato non c’è modo di obbligare un utente ad attivare il telefono (a meno di utilizzare forme di comodato), dall’altro è evidente che gli aggiornamenti software non rappresentano una contromisura efficace.
Forse l’unica soluzione sarebbe quella di proporre una versione sbloccata di iPhone ad un prezzo, per così dire, “concorrenziale”, di certo lontano dai 999€ richiesti in Francia.
C’è poi la poco simpatica questione del business nato attorno ai software di sblocco: un conto è, infatti, offrire come privati soluzioni artigianali e gratuite, un altro è, come aziende, guadagnare a deliberato danno di altre.
Infine va sottolineato che tutto questo discorso sembra preoccupare più Apple dei suoi partner: se, infatti, l’alta quota di telefoni sbloccati potrebbe rendere difficoltose le trattative con i carrier dei paesi in cui non è ancora presente, AT&T ha invece annunciato un incremento dei profitti di oltre il 40%, in larga parte attribuibili al successo di iPhone, nonostante tutto…
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