Basta dare un’occhiata i benchmark online per rendersi conto che un vecchio ed economico iPhone 12 del 2020 fa comunque mangiare la polvere ai più recenti Android. Come si spiega questo paradosso?
Uno dei più grandi misteri dell’industria high-tech attuale è come sia possibile che Apple sia tanto avanti rispetto a Android e Qualcomm, quando si parla di processori. È l’ultima entrata nel campo, eppure guardate questo grafico delle prestazioni a singolo-thread dei chip più potenti del mercato:
Il punteggio a thread singolo è rivelatore della potenza bruta del chip stesso e costituisce il 99% delle attività di elaborazione normalmente eseguite su un computer medio. Avere molti core, invece, aiuta quando si fa rendering, o si fa compilazione e in generale in attività molto pesanti in cui è possibile suddividere il carico di lavoro.
Ciò che si vede è abbastanza sconcertante. Un telefono di due anni fa se la cava comunque meglio dell’Android più potente del momento. E per carità, l’esperienza utente complessiva di un dispositivo elettronico dipende anche dalla somma di tutte le componenti, e non solo del processore. ma l’impressione è che i chip di Apple siano anni davanti alla concorrenza, e che l’integrazione del software giochi un ruolo tutt’altro che secondario. E ci sono motivazioni tecniche per cui, anche col miglior chip della storia e più RAM, Android ha comunque prestazioni meno brillanti.
Una chicca finale. L’ultimo modello di Google, il Pixel 6a ha prestazioni single-core e multi-core paragonabili a un iPhone XR di quattro anni fa. Per dire.
E dunque come si spiega il paradosso? Un po’ è la Ricerca & Sviluppo di Cupertino, che è stata portata avanti per anni e che ha permesso di lanciare chip tanto potenti da poterli infilare anche su Mac; e dall’altra una certosina ottimizzazione del software, possibile solo quando la medesima società si occupa sia dell’uno che dell’altro. Una sinergia che rende possibili piccoli miracoli come questo, per l’appunto.