Nonostante l’importante ispessimento delle buste paga voluto da John Browett, ogni singolo dipendente degli Apple Store garantisce a Cupertino quasi 500.000$ di vendite l’anno (con picchi anche di 750.000$), a fronte d’uno stipendio medio di circa 25.000$. I conti non tornano, e infatti cresce lo scontento.
I dipendenti dei 327 Apple Store del mondo rappresentano una vera e propria armata (basti pensare che il 70% dei 43.000 impiegati statunitensi di Cupertino lavora nel retail), leale e volenterosa, che tuttavia percepisce stipendi davvero contenuti:
All’interno del suo comparto, l’Apple Store è re incontrastato, un fenomeno del retail rinomato per il design impeccabile, il servizio agile e le entrate fenomenali. L’anno scorso, i 327 negozi globali hanno attirato più soldi per metro quadro rispetto a qualunque altro rivenditore degli USA -wireless e non- e quasi il doppio rispetto a Tiffany, che poi è al secondo posto della lista secondo una ricerca di RetailSails.
Al mondo, i suoi store vendono 16 miliardi di dollari di merce.
Ma la maggior parte degli impiegati Apple ha goduto poco di tanta ricchezza. Se i consumatori tendono a pensare che il quartier generale di Apple a Cupertino rappresenti il cuore e l’anima della società, la maggior parte dei suoi lavoratori negli Stati Uniti non è costituita né da ingegneri né da dirigenti con super-salari e bonus; sono semmai semplici venditori di iPhone e Macbook pagati un tot l’ora.
L’impressione, insomma, è che a Cupertino sfruttino la devozione dei ragazzi nei confronti della società e il gran numero di fan per tenere costantemente rimpolpate le falangi degli addetti alle vendite, senza offrire tuttavia mobilità verso posizioni migliori:
A un certo punto, gli impiegati capiscono che non avanzeranno mai, o che hanno già raggiunto la posizione massima. “La disillusione non arriva solo a causa della paga” spiega Graham Marley, un ex venditore part-time, “anche se la paga è parte del problema. Ciò che accade è che capisci che vogliono farti restare anni lì: non c’è praticamente alcuna carriera.
Già, perché ogni volta che avviene un’assunzione, i manager spiegano chiaramente che vorrebbero un periodo di collaborazione non inferiore ai sei anni. Il che può trasformarsi in una prigione, visto e considerato che le posizioni manageriali nel retail sono pochissime e ancor più rari i passaggi dal retail al corporate. Non esiste insomma “mobilità a salire” e ciò provoca una frustrazione diffusa soprattutto tra gli addetti di alto livello; ciò accade per esempio coi Genius, che nonostante tutto mantengono “un tasso di retention su base annuale di oltre il 90%”. Un valore “inaudito nell’industria del retail.”
Evidentemente, però, a Cupertino devono aver captato il malcontento, tant’è che come suo primo provvedimento, John Browett ha gonfiato del 25% i salari medi negli store; in secondo luogo, ha creato e lanciato Pathways, un programma di addestramento del personale onnipresente ed estremamente impegnativo. A cui si aggiungono gli imponenti sconti sui computer e dispositivi con la mela voluti da Tim Cook. Non sarà moltissimo, ma di certo terrà a bada i malumori per un po’.
Photo | New York Times