Ci risiamo. Così come già accaduto col Galaxy S4 (che infatti faceva il doppio dei punti dell’iPhone 5, a chiacchiere), Samsung è stata pizzicata con le mani nella marmellata mentre gonfiava benchmark del suo Galaxy Note 3 con escamotages tecnici.
Il trucco consiste nell’uso di speciali frammenti di codice incastonati nel Sistema Operativo capaci di identificare l’esecuzione delle app di benchmarking in base al nome, impostare la CPU alla velocità massima di clock consentita, e infine impedire che i core della CPU entrino in modalità a basso consumo. Ciò permette di strappare un 20% di prestazioni in più che tuttavia restano solo sulla carta: la maggior parte delle app comuni, infatti, non potrà mai beneficiarne. A riguardo, Ars Technica scrive:
La differenza è notevole. Nel test multicore di Geekbench, la modalità di benchmark del Note 3 dà al dispositivo un 20% di potenza in più rispetto al punteggio “naturale.” Eliminando la componente software in questione, il Note 3 precipita ai livelli dell’LG G2, che poi è il piazzamento che ci aspettavamo viso che condividono i medesimi SoC. Quel gran miglioramento prestazionale corrisponde solo al rimaneggiamento dei livelli di idle della CPU; quando il dispositivo fa girare un benchmark, invece, può contare su una riserva aggiuntiva di grinta.
Uno scivolone che deve aver causato parecchia ira in Phil Schiller, il vice presidente del marketing mondiale di Apple; tant’è che in un tweet molto signorile, si è limitato a cinguettare l’URL dell’articolo di Ars aggiungendo solo “shenanigans,” cioè “Marachelle.” Come quelle dei bambini.