Di questi tempi, esattamente 6 anni fa, Apple aveva da poco annunciato iPhone 3G, un telefono più performante del predecessore a livello di connettività perché capace di agganciarsi ai network UMTS. Ma era anche un prodotto un po’ più rispettoso dell’ambiente. La confezione era infatti costituita di materiali completamente biodegradabili, dalla scatola di cartone fino al vassoio di plastica derivata dall’amido di patate.
Hans Arentsen – CEO della olandese PaperFoam – ha confermato che Apple avrebbe ordinato milioni di imballi paperfoam per il suo nuovo iPhone 3G. La plastica della sua confezione è prodotta a partire da tuberi di patata o tapioca, per cui è biodegradabile al 100%.
Una scelta di questo tipo sembra molto azzeccata, soprattutto dopo la lettera aperta in cui Steve Jobs prometteva che Apple sarebbe diventata sempre più verde.
La lettera a cui ci riferiamo è quella scritta da Steve Jobs in persona, in risposta alle critiche delle organizzazioni ambientali. A quei tempi, infatti, molti dei prodotti Apple erano infarciti di componenti chimiche tossiche, e fu allora che l’iCEO annunciò un serio impegno su questo fronte. “Generalmente,” spiegava Jobs, “non è pratica di Apple strombazzare i suoi piani per il futuro, preferiamo parlare delle cose che abbiamo appena ultimato. Sfortunatamente questa politica ha lasciato i nostri clienti, azionisti, impiegati e l’industria all’oscuro in merito ai desideri e ai piani di Apple per diventare più verde. I nostri stakeholder si aspettano di più da noi, e fanno bene. Ci vogliono leader di questo settore, così come lo siamo in altre aree di business. Così oggi noi cambiamo le nostre politiche.”
Furono promessi drastici miglioramenti sul fronte dell’efficienza energetica dei computer, ma anche sulle tracce chimiche lasciate dai dispositivi portatili come iPod e iPhone.
È con questo spirito, tra il solenne e il senso di colpa, che Apple mise in campo nuove iniziative legate all’ecologia, e non mancarono nel corso degli anni contestazioni eclatanti come quella che portò all’assalto di un convoglio con un carico di carbone diretto a Maiden, location scelta da Apple per il suo primo Data Center. E in effetti, i Data Center furono spesso oggetto di critica da parte di GreenPeace, ed ecco perché Cupertino ha deciso di renderli autosufficienti con energie completamente rinnovabili.
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Nella Carolina del Nord Apple ha commissionato imponenti impianti solari, e centrali a biomasse; poi è giunta, col plauso delle associazioni ambientaliste, l’assunzione di Lisa Jackson, l’ex responsabile dell’Ente di protezione ambientale statunitense. Ed è così che si giunge in tempi recenti alla copertura con rinnovabili del 100% del fabbisogno energetico di tutti i suoi Datacenter, e col 75% di energie pulite quello degli uffici in tutto il mondo. Ma il progetto prevede di arrivare al 100% anche per questi ultimi.
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Poi per carità, è chiaro che il problema qui è a monte. Quando Apple he tentato di fare marcia indietro su EPEAT perché lo standard di eco-compatibilità diventava un po’ d’intralcio, c’è voluto lo sdegno di media e utenti per farle fare marcia indietro; e quando costruisce dispositivi sempre più sottili ma sempre più difficili da riparare, sta facendo un danno all’ambiente cui sopperisce parzialmente con le recenti iniziative di Riuso e Riciclaggio. Il fatto è e resta che Apple deve fare profitti, e in ultima istanza preferisce che un dispositivo venga ricomprato, piuttosto che riparato. Ma lì la questione è un’altra, ed è infinitamente più grande: in ballo c’è un intero sistema di sviluppo che va rivisto dalle fondamenta.
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