In Brasile, Apple, Google e Microsoft stanno fronteggiando una minaccia legale che giunge da applicazioni social come Secret, che consentono di condividere in maniera anonima stati personali, sentimenti e sensi di colpa. La peculiarità di questi titoli, tuttavia, sembra incompatibile col dettato costituzionale brasiliano che proibisce la libertà d’espressione nell’anonimato. La sentenza non c’è ancora, ma già fa discutere.
Al momento, la sentenza non è stata ancora depositata ma voci di corridoio affermano che il giudice Paulo Cesar de Carvalho della Quinta Corte Civile di Victoria sia ben intenzionato a bastonare Apple, Google e Microsoft. Le tre rischiano in concreto di vedersi piombare tra capo e collo un’ingiunzione preliminare che potrebbe comportare fino a 20.000 Real di multa (6.600€) per ogni giorno di inadempienza.
Il problema, scrive Estadao, nasce dal fatto che i social network anonimi consentono anche di portare a termine atti di bullismo o diffamazione senza metterci la faccia; in un caso, citato dal pubblico ministero Marcelo Zenkner, un utente -tale Bruno Machado- si è visto ritrarre su Secret con una foto e una scritta che lo dichiarava HIV positivo. Ecco perché si preme tanto non solo per una rimozione coatta dall’App Store, ma perfino dai telefoni degli utenti attraverso una procedura di cancellazione remota.
Lo scenario fa paura per diverse ragioni. Prima di tutto, perché ci ricorda l’amara verità: Apple può tecnicamente disabilitare qualunque app da remoto semplicemente revocandole il certificato (ovviamente, occorre che il dispositivo sia connesso ad Internet per un congruo lasso di tempo, e soprattutto che non sia jailbroken, altrimenti è praticamente inutile); si tratta in ogni caso di un meccanismo mai provato finora, che aprirebbe un pericoloso precedente, laddove Google è già intervenuta con un kill-switch remoto per bloccare la propagazione dei malware. E poi, come gestire una sentenza simile? Ricadrebbe solo sui cittadini brasiliani o anche sui visitatori del paese?
Insomma, le premesse sono preoccupanti, e c’è solo da sperare che gli atti della sentenza smentiscano questo impianto, magari introducendo vincoli di tutela della privacy, piuttosto che seppellendo un’intera categoria di applicazioni. Ammesso che sia tecnicamente fattibile, cosa di cui siamo tutt’altro che certi.
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