Su Cupertino sta per abbattersi l’ira dell’Unione Europea per la spinosa faccenda dell’elusione fiscale che ha consentito ad Apple -e a molte altre multinazionali- di mettere da parte un ingente tesoretto da 150 miliardi di dollari nei paradisi fiscali grazie ai buchi presenti nella legislazione fiscale del Vecchio Continente. E già si parla di una maximulta miliardaria.
Elusione Fiscale, Apple risponde alla UE: “Paghiamo ogni Euro dovuto” ma questo non basterà.
L’accusa formale, scrive il Financial Times, è di aver ricevuto indebitamente aiuti di Stato dall’Irlanda, una pratica storicamente molto invisa in UE, ma la questione è molto più sottile e riguarda le tecniche con cui colossi come Apple, Amazon e Google riescono sistematicamente a bypassare la tassazione dei paesi in cui vendono.
Tutto è iniziato un paio d’anni fa, quando Tim Cook fu convocato al Congresso di Washington per riferire sul nascente scandalo dell’elusione fiscale, e fu in quell’occasione che si rese chiaro il ruolo dell’Irlanda. Il piccolo stato europeo ha infatti attirato le aziende con aliquote da paradiso fiscale -2% nel caso specifico, ma spesso si arriva allo 0,05%- e ha permesso alla mela di risparmiare qualcosa come 74 miliardi di tasse nel periodo che va dal 2009 al 2012. Con una tassazione simile, era inevitabile che fossero spostati lì gran parte degli utili della società, tra l’altro senza ripercussioni positive per gli irlandesi: a dire del Senato USA, infatti, a Dublino c’è solo una matrioska di scatole vuote che non portano né benessere nella comunità locale né tantomeno lavoro.
Di solito, la UE usa i suoi poteri sugli aiuti di Stato per prendere di petto problemi di competizione più grossi. Ma l’anno scorso Bruxelles ha tentato di affrontare la questione delle tasse di società quali Apple, Starbucks e Amazon. Questa tuttavia è un’applicazione nuova della legge con implicazioni di ampio respiro, non solo per le società, ma anche per gli Stati membri, oltreché per le relazioni USA-UE in generale.
Questa settimana la Commissione Europea pubblicherà le sue rilevazioni sul caso Apple. I dettagli -incluse le prove delle negoziazioni sulle tasse eluse- saranno probabilmente esplosive.
Luca Maestri, il direttore finanziario di origine italiane della società, ha subito chiarito che “non c’è mai stato un accordo col governo irlandese che configurasse un aiuto di Stato,” aggiungendo che “se i paesi modificheranno le leggi sulla tassazione, Apple vi si conformerà pagando ciò che è dovuto.”
E va da sé che anche l’Irlanda subirà qualche conseguenza, visto che gli aiuti di Stato sono giudicati -e a ragione- dei meccanismi di distorsione della concorrenza. Ci si domanda semmai per quale ragione Apple avrebbe dovuto onorare leggi che non esistevano, e dunque per quale motivo dovrebbe essere multata, ma tant’è. L’unica certezza è che questa concorrenza fiscale tra gli Stati della UE non ha portato alcun vantaggio ai cittadini, ma solo alle multinazionali; e chissà che questo nuovo capitolo del diritto antitrust comunitario non convinca qualcuno che solo una politica fiscale e del lavoro comuni, e un welfare più omogeneo, potranno tirarci fuori dalla crisi in cui versiamo.