[Aggiornamento] La reazione di Tim Cook
In seguito al clamore suscitato dalla pubblicazione del documentario della BBC sulle tragiche condizioni di lavoro e gli abusi nelle fabbriche asiatiche in cui si assemblano iPhone e iPad, Tim Cook è andato su tutte le furie. Il Telegraph racconta che, in una mail inviata agli oltre 5.000 dipendenti del Regno Unito, Tim Cook si sarebbe dichiarato “profondamente offeso” per il quadro emerso nelle ultime ore, e per l’ipotesi che “Apple abbia infranto la promessa fatta ai lavoratori nelle catene delle forniture e ai clienti. Il report di BBC Panorama, ” ha chiosato l’iCEO, “implicava che Apple non stia controllando le condizioni di lavoro. Lasciate che vi dica una cosa: niente potrebbe essre più lontano dalla realtà.”
E ciò che indispettisce di più il management di Cupertino è che Apple abbia fornito per tempo “fatti e prospettive” sull’impegno profuso nei diritti umani, che la BBC ha poi ha deciso di “tagliare dal programma.”
Nel documentario si fanno pesanti accuse; lavoratori che dormono letteralmente in piedi dopo turni sfiancanti di 12 ore, e sequenze di giornate lavorative che in alcuni casi hanno raggiunto i giorni senza neppure un break. E a peggiorare il quadro, c’è la presenza di bambini nelle miniere dell’isola indonesiana di Bangka per l’estrazione dei metalli necessari ad iPhone 6 e iPhone 6 Plus.
La colpa, secondo Apple, è tutta della corruzione di questi paesi. “Apple” ha spiegato il presidente delle operazioni Jeff Williams “ha ammesso pubblicamente che lo stagno proveniente dall’Indonesia finisce nei nostri prodotti, e che parte di quello stagno proviene da miniere illegali. Decine di migliaia di minatori artigiani vendono il loro stagno a intermediari che a loro volta rivendono ai fornitori mondiali. Il governo non si sta occupando della questione, e c’è un elevato grado di corruzione nella immatura catena delle forniture. Il nostro team ha visitato alcune parti dell’Indonesia vistate dalla BBC, e siamo ovviamente costernati per quel che accade lì.”
In pratica, Apple non ha potere contrattuale in Indonesia per migliorare sensibilmente le cose:
“Apple ha due scelte: potremmo assicurarci che tutti i nostri fornitori di stagno comprino il materiale da fuori l’indonesia, cosa che probabilmente costituirebbe il modo più semplice per metteri al riparo dalle critiche. Ma sarebbe un cammino da pigri e codardi, poiché non farebbe nulla per migliorare la situazione dei lavoratori indonesiani o dell’ambiente; dopotutto, Apple compra solo una minuscola frazione dello stagno estratto lì. Abbiamo scelto la strada più dura, cioè di restare lì e cercare di guidare una soluzione collettiva.”
I fatti
Ieri sera, la BBC ha mandato in onda un documentario intitolato Apple’s Broken Promises -in italiano Le promesse infrante di Apple– in cui vengono mostrate le condizioni di lavoro nelle fabbriche dei partner asiatici che assemblano iPhone, gli iPad e i Mac. Nel filmato si vedono gli ambienti interni di Pegatron, nonché le miniere indonesiane da cui provengono la materie prime, e le violazioni sono all’ordine del giorno: dalle carte di identità fasulle, ai dormitori, dai meeting aziendali fino al lavoro minorile.
Quando ieri Tim Cook ha inviato la mail ai dipendenti con tutti i successi di Apple del 2014, ha omesso di citare il loro più grande fiasco: le promesse fatte e disattese sul miglioramento delle condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi che sfornano i computer e i dispositivi mobili con la mela.
È un problema noto che ha generato grossa eco nei mesi e negli anni scorsi, ma che come al solito era un po’ finito nel dimenticatoio della coscienza collettiva; ora, però, si torna a parlarne dopo che la BBC ha inviato reporter in incognito a filmare le politiche di lavoro messe in atto in Cina e in Indonesia. Viene fuori uno scenario da incubo, con cicli di 18 giorni continuativi o turni sfiancanti da 12 ore:
Un reporter in incognito, addetto alla produzione di componenti per computer Apple, ha dovuto lavorare 18 giorni di fila nonostante le continue richieste per avere un giorno libero.
Un altro, il cui turno più lungo è stato di 16 ore, ha affermato: “Ogni volta che tornavo ai dormitori, non mi volevo muovere. Anche se avevo fame, non mi alzavo per mangiare. Volevo solo stare lì e riposare. Ero incapace di dormire la notte, a causa dello stress.”
Gli straordinari, teoricamente su base volontaria, erano imposti dall’alto, e le condizioni abitative al limite della vivibilità, con gruppi di oltre 12 persone stipate in ogni singola camera. In una caso, un reporter è stato costretto a partecipare ad un meeting coi colleghi fuori dall’orario di lavoro, senza essere remunerato.
La risposta di Apple non si è fatta attendere, ed è sempre la solita:
“Non siamo a conoscenza di alcuna altra società che si impegni come Apple per assicurarsi condizioni di lavoro eque e sicure. Lavoriamo coi fornitori per colmare le lacune, e vediamo miglioramenti continui e significativi, ma sappiamo anche che il lavoro non finisce mai.”
Le ore di lavoro presso gli impianti Pegatron, ha spiegato un portavoce, arrivano ad una media di 55 ore a settimana, e la questione dei dormitori è stata risolta, così come i compensi relativi ai meeting. Ma è chiaro che c’è una certa discrepanza tra le fonti ufficiali e quel che avviene sul campo.
Ma c’è di peggio. Nel documentario si sostiene l’esistenza di miniere illegali di stagno che finiscono nel circuito dei fornitori di materie prime. Sono stati visti bambini lavorare nelle cave, e poi rivendere il metallo raccolto alle fonderie che collaborano ufficialmente con Apple. Da Cupertino, tuttavia, fanno sapere che la situazione in Indonesia è “complessa” poiché migliaia di minatori rivendono lo stagno raccolto a degli intermediari.
Il fatto è che Apple tratta con un numero elevatissimo di fornitori, e anche se ha meritoriamente predisposto un Team ad hoc per monitorare la situazione negli impianti, è chiaro che sia molto difficile tener testa agli eventuali abusi, senza contare che i prezzi bassissimi a cui compra non sono compatibili con diritti sul lavoro e qualità di vita. Ma questo è di per sé evidente.