Sul Wall Street Journal, il giornalista e fondatore di Press+ Gordon Crovitz tenta di scagionare Apple dalle accuse di collusione mosse dal Dipartimento di Giustizia statunitense in merito alla questione del prezzo degli eBook. Nel farlo, però, dimentica un particolare determinante.
Secondo Crovitz, il famoso 30% di commissioni che Cupertino impone agli editori farebbe parte d’una strategia ben consolidata, che andrebbe vista nel suo complesso:
“Temo che non abbiate capito. Non possiamo trattare i giornali o le riviste in modo differente rispetto a come gestiamo FarmVille.” Con queste parole, il dirigente senior di Apple Eddy Cue ha difeso il proprio modello di business prendere-o-lasciare dal 30% di commissioni per ogni transazione attraverso il servizio iTunes. […] Una dichiarazione che fa riflettere e che ricorda come i grandi media non abbiano alcun approdo preferito nel nuovo mondo digitale. Questa dovrebbe diventare la prova cardine nel caso antitrust del Dipartimento di Giustizia contro Apple e gli editori: il 30% di condivisione delle entrate è una pratica standard di Cupertino, e non, come argomentato dal governo, il prodotto di una cospirazione.
Insomma, il fatto stesso che si tratti d’una pratica consolidata e precedente all’entrata di Apple nel mondo dei tomi digitali renderebbe ipso facto lecito il cosiddetto “Modello Agenzia”. E a riprova di questa teoria, Crovitz spiega che il mercato degli eBook non è mai stato tanto florido:
Negli ultimi due anni, grazie al modello agenzia, il mercato del Kindle è sceso del 60% [dal precedente 90%] grazie alla competizione degli iPad e dei Nook Barnes & Noble, e i prezzi per i consumatori sono ora più variegati, dai 5,95$ ai 14,95$. La flessibilità dei prezzi è necessaria per gli editori poiché consente l’innovazione. Per quale ragione alcuni eBook costano 99 centesimi e altri in edizione con video e rilegatura arrivano a 49,950 Perché non offrire la possibilità di pagare il 10% in più per poter accedere ai propri eBook da tutti gli e-reader? Dovrebbero decidere i consumatori, e non Amazon o la Divisione Antitrust.
E in effetti, non diversamente da quanto visto su iTunes negli anni passati, il modello adottato da Amazon -tutto a 9,99hBc non è mai andato a genio né agli editori né agli autori, e il terrore per questi ultimi è che le azioni intraprese dal governo USA finiscano col far ripiombare l’intero settore nelle mani di Amazon.
Per carità, i timori sono più che giustificati, ma le motivazioni difettano d’un pilastro importante, ovvero quella clausola della cosiddetta “most favored nation” (MFN) menzionata anche nella lettera del procuratore generale del Connecticut Richard Blumenthal che impedisce agli editori di rivendere altrove e a prezzi inferiori i libri pubblicati su iBookstore.
Ed è lì che casca l’asino: quando si incastra questa policy con gli sforzi congiunti dell’intera industria per rompere il monopolio di Amazon, il quadro che emerge sembra configurare un’ipotesi di collusione, e poco importa che il fine sia -ammesso che lo sia davvero- etico. In ogni caso, sembra chiaro ormai che la sola soppressione della clausola MFN non basti a placare le preoccupazioni del governo, ed è per questa ragione che Apple sta per mettere in campo tutte le schermaglie legali di cui dispone.