Chiariamolo subito: non c’è nulla di illegale o di poco trasparente in ciò che Apple fa, si tratta semplicemente di scappatoie previste a norma di legge. Cose come l’apertura di filiali negli stati in cui la tassazione è più bassa, come l’Irlanda, le Isole Vergini o l’Olanda; solo facendo transitare le proprie entrate statunitensi attraverso la sede di Reno, in Nevada, Apple risparmia l’8,84% di tasse aziendali dovute allo stato della California. Tutte le transazioni che avvengono sull’iTunes store in Europa, Africa e Medio Oriente, invece, vengono convogliate alla iTunes S.à r.l. in Lussemburgo, una location costituita praticamente da un indirizzo mail e da una manciata di dipendenti, che però gode della tassazione agevolata sull’e-commerce. E che dire dei guadagni derivanti dalle royalties sui brevetti? Confluiscono tutte in Irlanda, dove la tassazione per questo tipo di entrate è al 12,5% contro il 35% degli Stati Uniti.
Per farla breve, fatte le dovute somme, si scopre che su 34,2 miliardi di dollari di profitti, Apple ha riconosciuto ai vari governi 3,3 miliardi di dollari in tasse: praticamente un’aliquota media reale da sogno del 9,8% tutto incluso.
Al clamore sollevato da questa notizia, Apple ha risposto ricordando la “quantità enorme di tasse” che versa ai governi locali, statali e federali, cui si aggiungono i 500.000 posti di lavoro creati solo negli Stati Uniti:
Negli anni passati, abbiamo creato un incredibile quantità di lavoro. La maggior parte della nostra forza lavoro resta negli USA, con più di 47.000 impiegati a tempo pieno in 50 stati. Focalizzandoci sull’innovazione, abbiamo creato da zero nuovi prodotti e nuove industrie, e più di mezzo milioni di impieghi per i lavoratori statunitensi, a partire da chi crea le componenti dei nostri prodotti fino a quelli che li consegnano ai clienti. La crescita internazionale di Apple sta creando lavori a livello domestico, visto che coordiniamo la maggior parte delle nostre operazioni dalla California. Produciamo parti negli USA che poi esportiamo in tutto il mondo, e gli sviluppatori USA creano app che vendono in oltre 100 paesi. Per questa ragione, Apple è tra i principali creatori di posti di lavoro in America negli ultimi anni. […]
Abbiamo contribuito a molte attività di beneficenza e non abbiamo mai ricercato pubblicità per questo. Ci siamo sempre focalizzati sul fare la cosa giusta, e non sui meriti che ne sarebbero derivati. […] Apple manda avanti il suo business con gli standard etici più elevati, in ottemperanza alle leggi e alle regole. Siamo incredibilmente fieri del contributo di Apple.
Per carità si tratta di iniziative lodevolissime, ma la beneficenza c’entra poco con la questione; e volendo infierire, si potrebbe anche aggiungere che 47.000 posti a tempo indeterminato su 500.000 sembrano un po’ pochi. Ma non è neanche questo il vero problema. Non si può prendersela con Apple solo perché insegue a suo vantaggio le scorciatoie che il legislatore le offre; l’indignazione alla notizia, in altre parole, deve essere scaturita da ragioni di opportunità e delicatezza, soprattutto in un periodo storico in cui le nuove generazioni si trovano senza tutele e con un debito gigantesco da ripagare che neppure hanno creato. Insomma, l’indignazione è comprensibile, ma non è ad Apple che deve essere indirizzata.