Aggiornamento del 2 febbraio 2017
In queste ore, Apple sta valutando l’ipotesi di un’azione legale contro il decreto attuativo firmato dall’amministrazione Trump che blocca l’arrivo nel paese di sette paesi a maggioranza musulmana (Iraq, Iran, Yemen, Libia, Siria, Somalia, Siria).
La notizia giunge a poche ore di distanza dalla disamina degli osservatori, e soprattutto in seguito alle dichiarazioni di Microsoft, Amazon e altri big che si oppongono con forza al blocco-immigrazione. Secondo Cook, centinaia di impiegati della mela risultano coinvolti direttamente dalle novità sulla materia, con storie “da spezzare il cuore;” uno di loro, racconta il WSJ, aspetta un bambimo e teme che i futuri nonni -con cittadinanza canadese e iraniana- non potranno incontrare il loro nipotino. Ed ecco perché i legali Apple sono già a Washington per parlare con “persone molto, molto ben radicate alla Casa Bianca:”
“Più di qualunque altro paese al mondo, questo paese è forte grazie al mostro background migratorio e alla nostra capacità e abilità come persone di dare il benvenuto a tutti. È questo che ci rende speciali” ha affermato Cook. “Dovremmo fermarci e pensare seriamente a quel che facciamo.”
Ovviamente, nulla è dato sapere oltre questo, ma anche solo l’ipotesi al vaglio rappresenta un atto di insubordinazione rilevante. D’altro canto, è una faccenda di coerenza: dopotutto, Apple stessa non esisterebbe se fosse stato impedito al padre di Steve Jobs, migrante siriano, di entrare negli USA.
Tim Cook contro Trump: Apple non supporta la politica anti-immigrati
In una lettera inviata ai dipendenti, Tim Cook prende ufficialmente le distanze dagli ultimi provvedimenti di Donald Trump in tema di immigrazione. “Non è una politica che supportiamo” ha dichiarato.
[related layout=”big” permalink=”https://www.melablog.it/post/195618/donald-trump-a-tim-cook-incentivi-fiscali-per-produrre-iphone-negli-usa”]Nel corso di un’intervista per il New York Times il nuovo presidente eletto degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha fatto riferimento, tra le altre cose, dei suoi recenti contatti con il CEO di Apple, Tim Cook.[/related]
[related layout=”right” permalink=”https://www.melablog.it/post/196177/cook-spiega-le-motivazioni-della-sua-partecipazione-allincontro-con-trump”][/related]
In queste ore, i capi delle Risorse Umane, i Team sicurezza e i legali di Cupertino stanno facendo pressioni alla Casa Bianca per spiegare l’impatto negativo del Bando contro l’Islam sulla mela. Apple, ha spiegato in una lunga mail ai dipendenti,”non esisterebbe senza immigrazione.”
Nelle mie conversazioni con i funzionari di Washington questa settimana, ho chiaramente indicato che Apple crede con convinzione all’importanza dell’immigrazione, sia nella nostra società che nel futuro della nostra nazione. Apple non esisterebbe senza immigrazione, e neppure potrebbe prosperare e innovare alla stessa maniera.
Ho sentito da molti di voi le preoccupazioni espresse in seguito all’ordine esecutivo diramato ieri che limita l’immigrazione da sette pesi a maggioranza musulmana. Condivido le vostre preoccupazioni. Non è una politica che supportiamo.
Ci sono impiegati presso Apple direttamente coinvolti dall’ordine di immigrazione di ieri. I nostri uffici legali, HR e Sicurezza sono in contatto con supportarli al meglio. Stiamo fornendo risorse su AppleWeb per chiunque abbia domande o dubbi sulle politiche di immigrazione. Siamo in contatto anche con la Casa Bianca per spiegare gli effetti negativi della cosa sui nostri colleghi e sulla nostra società.
Come già detto molte volte, la diversità rende il nostro team più forte. […] Apple è aperta. Aperta a chiunque, a prescindere da dove proviene, dalla lingua che parla, da chi ama o chi prega. I nostri impiegati rappresentano i migliori talenti al mondo, e il nostro team getta radici in ogni angolo del globo.
Martin Luther King diceva “saremo pure venuti tutti con navi differenti, ma ora siamo nella stessa barca.”
L’ordine esecutivo firmato dal presidente degli Stati Uniti rafforza l’esercito, aumenta i controlli e sospende per tre mesi l’ingresso negli Stati Uniti ai cittadini di sette paesi musulmani: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan, Yemen; inoltre sospende a tempo indeterminato l’ingresso dei siriani e impone controlli e discrezionalità anche a chi possiede già una green card, se proviene da uno di questi paesi.