Le funzionalità avanzate del vostro smartphone potrebbe essere utilizzate durante le indagini o in un processo, per risalire al colpevole di un delitto, che lo vogliate oppure no.
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Di recente, la polizia di Raleigh negli USA ha inviato a Google un mandato di acquisizione dei dati ad ampio spettro; in pratica, ha richiesto i dati di tutti i telefoni transitati in un’area di 7km² e nella finestra temporale in cui è avvenuto un recente crimine.
L’idea è di usare queste informazioni per stringere il cerchio su un drappello di sospettati. E anche se il colpevole avesse disattivato il GPS, ci sarebbero comunque dati alternativi che potrebbero aiutare a ricostruire i suoi spostamenti; le reti WiFi a cui si è connesso, e addirittura i passi che ha fatto.
E se vi sembra incredibile, sappiate che in Germania un uomo -Hussein K.- è stato inchiodato su un omicidio anche grazie ai dati disponibili sull’app Salute di iPhone. Con un iPhone in tasca, gli inquirenti hanno ricostruito i movimenti fatti dall’assassino, simulato lo spostamento del cadavere e il lancio del corpo nel fiume; poi hanno confrontato i dati, e verificato che erano praticamente identici.
Il problema è annoso, e casi come questi diventeranno presto la norma. Da una parte le forze dell’ordine scalpitano per avere un accesso privilegiato alla gran mole di informazioni che i dispositivi digitali registrano costantemente, e dall’altra le società di tecnologia temono i contraccolpi di un simile potere. E non parliamo solo di danni d’immagine, ma della privacy di tutti coloro i quali non compiono crimini, che poi sono la maggior parte delle persone.
Sono gli stessi discorsi che facevamo un anno fa, quando l’FBI pressava Cupertino per sbloccare l’iPhone del killer di San Bernardino, e Apple si rifiutava. Di fatti, il governo chiedeva ad Apple di aprire un backdoor sui propri dispositivi, un accesso segreto all’interno di iPhone: “Nello specifico,” diceva Tim Cook in una lettera pubblica, “l’FBI vuole che creiamo una nuova versione del sistema operativo di iPhone che eluda diverse feature di sicurezza, da installare sull’iPhone ritrovato durante le investigazioni. Se cadesse nelle mani sbagliate, questo software -che ad oggi non esiste- avrebbe il potenziale di sbloccare qualsiasi iPhone.”
Perfino l’ONU -assieme a diversi blasoni high tech– si schierò a favore della mela, affermando che fornire uno strumento di sblocco simile significava “scoperchiare il vaso di Pandora” e mettere tutti noi in pericolo.
Da allora il dibattito è aperto, ma siamo ancora ben lontani ad una sintesi definitiva. Ci vorrà parecchio tempo, molta concertazione e leggi ad hoc, prima di trovare un equilibrio tra esigenze di ordine pubblico e diritto alla privacy. L’unica certezza, a questo punto, è che casi simili diventeranno sempre più diffusi.