Il New York Times ha ottenuto un file con la precisa localizzazione di oltre 12 milioni di smartphone in un periodo di diversi mesi tra il 2016 e il 2017; in teoria si tratterebbe di dati anonimizzati, ma in pratica -sfruttando i dati pubblici disponibili online- è un modo incredibilmente preciso di conoscere nome, cognome e spostamenti delle persone.
[related layout=”big” permalink=”https://www.melablog.it/post/223541/virus-su-mac-2019″][/related]
Incrociando dati liberamente accessibili su Internet col database in questione, benché fatto esclusivamente di dati anonimizzati, il New York Times è riuscito a ricostruire con disarmante meticolosità i movimenti di avvocati, agenti di polizia, impiegati high tech e molte altre figure:
In un caso, abbiamo osservato una variazione degli spostamenti regolari di un ingegnere Microsoft. Ha fatto una visita un martedì pomeriggio nel campus principale di Seattle di un competitor Microsoft, cioè Amazon. Il mese successivo, ha iniziato un nuovo lavoro presso Amazon. Ci sono voluti pochi minuti per identificarlo come Ben Broili, un manager ora per Amazon Prime Air, il servizio di consegna via drone.
I dati vengono raccolti in modo assolutamente legale e attraverso SDK ufficiali da app come Gimbal, NinthDecimal, Reveal Mobile, Skyhook, PlaceIQ e molte altre; e c’è da dire che nel report non si parla mai esplicitamente di iPhone, ma più in generale di smartphone, includendo dunque tutte le marche.
Ma l’aspetto più preoccupante è che la vendita di questi dati non è soggetta a limitazioni di alcun tipo, almeno negli Stati Uniti (in Europa, per fortuna, le cose vanno in modo diverso). E così, il rischio è che soggetti particolarmente interessati potrebbero utilizzare queste informazioni per pedinare virtualmente qualcuno, e ciò è inaccettabile.
Ecco perché Apple insiste su privacy e sicurezza, aggiungendo di continuo nuovi modi per offrire servizi sempre più moderni e liberando gli utenti dalle mire di inserzionisti e società di terze parti. Ed ecco perché, con iOS 13, i clienti Apple hanno visto diminuire il loro valore sui network pubblicitari, segno che le tecnologie di anonimizzazione tutto sommato un po’ funzionano.