Sulla faccenda delle tasse pagate da Apple, Amazon, Facebook e Google abbiamo parlato in diverse occasioni, e ogni volta -checché ne dicano le trombe del marketing di Cupertino– è balzata agli occhi una verità tanto semplice quanto preoccupante: tra giri di soldi, scappatoie legali, e a fronte di profitti miliardari, tutte le multinazionali citate pagano aliquote ridicolmente irrisorie, soprattutto se paragonate alla fiscalità generale. La pacchia però potrebbe finire presto, e per mano di Francois Hollande.
Se la Francia tassasse i settori Web-centrici dell’industria digitale come tutte le altre, incasserebbe più di 500 milioni di Euro strutturali, cioè garantiti ogni anno. Una politica che consentirebbe di abbattere una porzione importante di debito e di rientrare in quei famosi parametri previsti da Bruxelles che stanno strangolando mezzo continente. Lo ha spiegato Philippe Marini, capo della commissione Finanze del Senato francese, in un articolo di Bloomberg:
Le cifre eluse hanno attirato la nostra attenzione, soprattutto in un periodo in cui ai paesi europei viene chiesto di mettersi in pari coi bilanci.
E ancora più schietta è stata Margaret Hodge, amministratrice della U.K. Public Accounts Committee, secondo cui il comportamento di tali società è perfino “immorale.” E d’altro canto era evidente che, in tempi di magra, prima o poi si sarebbe iniziato a guardare con occhio avido ad un settore che fino ad oggi ha sostanzialmente agito indisturbato. In una video intervista, l’ex segretario generale del Consiglio Digitale di Francia Benoit Tabaka, ha dichiarato che Apple, Google, Amazon e Facebook insieme pagano 100 volte meno dei 500-600 milioni di Euro che dovrebbero versare ogni anno alle casse di Stato. Per intenderci, parliamo di appena 4 milioni di Euro versate complessivamente, a fronte di ricavi compresi tra i 2,2 e i 2,5 miliardi di Euro.
Uno scenario reso possibile dalla disomogeneità tra le politiche fiscali comunitarie, che in qualche contesto -per l’appunto in Francia- tassano le imprese con aliquote del 33,3% mentre in altri -leggi Irlanda- non supera il 12,5%. E non parliamo poi del disastrato mercato italiano, in cui i picchi pressori sono perfino superiori. Insomma, c’è un problema di “competizione sleale” tra Stati che finisce col drenare risorse a vantaggio di pochi.
Interrogata sulla questione -e quando mai- Apple Francia ha rifiutato di rilasciare dati precisi; Google invece si è limitata ai Grandi Classici delle dichiarazioni, quelle che vanno bene per tutte le stagioni:
“Siamo perfettamente in regola con le leggi degli Stati di ogni paese in cui operiamo, e contribuiamo significativamente all’ecosistema locale attraverso buste paga e tasse aziendali.”
Somigliano un po’ agli studenti imboscati come Viet Cong sotto al banco, mentre il docente scorre il registro per l’interrogazione. Evitano il più possibile di esporsi, sperando che la moda (o la crisi) passino, e che la faccenda si chiuda lì. Il fatto è che non basterà la speranza per uscire da una spirale che sembra avvitarsi su se stessa ogni giorno di più. Per ora, sappiamo che il governo Hollande sta preparando una bozza di legge di ampissimo respiro che richiederà anche il coordinamento europeo e internazionale. Un provvedimento, spiegano dall’OCSE, che potrebbe arrivare tra un anno o poco più e che dovrebbe raddrizzare più di qualche torto; “stiamo ricevendo molte pressioni dagli Stati per muoverci più fretta. Le regole attuali non funzionano più e i paesi hanno bisogno di risorse.” E quando gratti il fondo del barile, e scopri che è finito, è lì che finalmente la politica inizia a posare il suo sguardo tardivo un po’ più in alto.
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