Richard Stallman è un personaggio scomodo. Fondatore della Free Software Foundation, fra gli sviluppatori e promotori di Gnu/Linux, è da sempre impegnato sul fronte della libertà digitale e della difesa della privacy. Naturalmente le posizioni di Stallman a favore del software libero si scontrano spesso e volentieri contro gli interessi delle multinazionali… tra cui Apple.
In un recente seminario presso La Casa Invisible a Malaga, Richard Stallman ha sottolineato l’attacco di Cupertino alla libertà individuale. “L’impero del Male“, così definisce Apple il fondatore del progetto GNU. Secondo lui Apple è più malevola e restrittiva di Microsoft nel limitare il diritto ad eseguire applicazioni sui suoi dispositivi:
Apple crea manette digitali, convince la gente che è “cool” solo per possedere i suoi prodotti ed applica giochi di marketing affinché quello che fa non sembri nefasto.
Come sappiamo, Apple marca dei margini di manovra per il software ammesso sui suoi prodotti. La politica della compagnia mira a controllare sia i contenuti che gli strumenti di sviluppo delle app vendute su App Store.
Se da una parte le clausole del SDK sono state ampiamente criticate dalla comunità degli sviluppatori, il filtro applicato sui contenuti delle applicazioni a volte ha rasentato la censura, come nel caso dell’app di satira politica del premio Pulitzer Mark Fiore, rifiutata perché considerata offensiva. Davanti all’alzata di scudi generale, rapidamente App Store aveva riammesso l’app, però ciò non ha calmato la polemica, la quale continua sul fronte delle “applicazioni a luci rosse”.
Le ragioni di Apple a favore di un controllo dei contenuti non sono di poco conto. Steve Jobs si è reiteratamente schierato contro la presenza di applicazioni a luci rosse sui dispositivi Apple per la difesa dei soggetti più sensibili. Quello che Stallman chiama “controllo”, per Apple è “sicurezza”: misure necessarie per proteggere i dati in un mondo dove elementi malevoli purtroppo esistono.
Ma per Stallman tutte le misure di sicurezza e il software proprietario non sono altro che un’altra barriera alla libertà digitale. L’utente che segue la campagna di marketing ed entra nel sistema del software proprietario, si infila da solo le manette ai polsi. In seguito, ogni aggiornamento del software lo costringe a rimanere prigioniero, scoraggiando di fatto ogni modificazione non autorizzata del prodotto.
Nei recenti scontri fra Apple e Adobe riguardo a Flash, la posta in gioco per Stallman va quindi ben oltre i meri benefici economici. Assieme a Microsoft, le due corporazioni cercano di negare l’uso del software in ogni sua forma all’utente finale, inclusa la possibilità di analizzarne il codice sorgente e di poter ridistribuire copie di un software che, per diritto d’acquisto, è ormai suo. “Il tutto in una visione altruistica, cioè per aiutare chi ti sta intorno”, specifica Stallman.
Ma il mercato dell’high-tech non ragiona secondo una filosofia altruistica. Se vi sono isole nella Rete dove nel cyberspazio si possono esprimere liberamente le libertà individuali, le mega-corporazioni inseguono una delle merci più preziose: l’informazione.
Da Google a iTunes, da Microsoft Explorer a Flash Player, molti sistemi mirano a raccogliere quanta più informazione per offrire servizi mirati. La Rete così si è trasformata nell’incubo dei paranoici; così Richard Stallman ha intrapreso la sua crociata.
Apple, con il suo think different, ha cercato il compromesso fra gli interessi di mercato e la realizzazione di prodotti di alta qualità. Ma la bontà del software non basta, chi ha una visione manichea di quello che può essere una società libera non accetta compromessi: “Se ragioniamo in termini di etica, noi siamo dalla parte del Bene, loro dalla parte del Male. Dunque il nostro software sarà sempre migliore del loro”, disse un giorno lo stesso Stallman parlando di software libero.
[Foto Colectivo La Tribu]