Se pensiamo a Steve Jobs come a un solitario genio sforna-idee, ci stiamo sbagliando di grosso. Jobs, infatti, ha fondato il suo mito sull’innata capacità di creare team vincenti e di dirigerli verso l’obiettivo nella sua testa.
Walter Isaacson, il suo biografo ufficiale, ha dedicato un intero capitolo del suo libro al “campo di distorsione della realtà” creato da Jobs nella mente dei suoi interlocutori. Era stato Andy Hertzfeld, membro del team Mac originario, a descrivere in questi termini le capacità di convincimento del co-fondatore di Apple.
“Era pericoloso venire catturati dal campo di distorsione di Steve, ma il campo era ciò che lo aveva reso capace di cambiare concretamente la realtà.”
L’espressione “campo di distorsione della realtà” era stata presa in prestito dal doppio episodio del Serraglio di Star Trek in cui una razza aliena creava con la propria mente un mondo alternativo alla realtà. Allo stesso modo, Steve Jobs era praticamente in grado di convincere chiunque di qualunque cosa portando i suoi collaboratori ad accettare pienamente le sue idee con modi e tempi di realizzazione difficilmente concretizzabili.
A Jobs non bastava che la propria squadra fosse formata da elementi di talento: ogni membro del team doveva mettere tutto se stesso in quello che non era più un semplice lavoro ma una ragione di vita e un modo di fare arte. Per “spremere” al massimo le capacità di ogni singola persona, Steve Jobs non utilizzava mezzi termini e non si faceva scrupoli a demolire in cinque minuti il lavoro di settimane.
Sono davvero in molti a descrivere come “terrificante” l’esperienza di lavoro con Jobs, dichiarando di essere stati sottoposti a pressioni degne del peggiore mobbing e a ritmi di lavoro infernali.
Del resto, è lo stesso Jobs a descrivere l’esperienza del lavoro di squadra come a delle pietre che si scontrano tra loro in una centrifuga. Quando era ragazzo, nel suo isolato abitava un anziano vedovo per il quale svolgeva saltuari lavoretti. Un giorno tirò fuori dal suo garage un malandato macinino a motore per caffè e chiese al piccolo Steve di cercare dei normalissimi sassi.
Quando ne ebbe raccolto una quantità sufficiente, il vecchio li inserì nel macinino insieme a una manciata di tritume e avviò il motore invitando Jobs a tornare il giorno dopo. La lattina, ruotando, faceva un gran chiasso con le pietre che si scontravano tra loro nel recipiente metallico.
“Io tornai il giorno dopo e aprimmo la lattina. Dentro c’erano delle bellissime pietre levigate. I semplici sassi che avevamo usato, a forza di strofinarsi l’uno contro l’altro, con un po’ di frizione, con un po’ di rumore, si erano trasformati in bellissime pietre levigate.
Mi è sempre rimasto in mente come metafora di una squadra di persone che lavorano sodo su qualcosa che le appassiona. Tutto sta nella squadra, in questo gruppo di persone di enorme talento che si scontrano tra loro, litigano, qualche volta si azzuffano. Fanno un po’ di rumore. E lavorando insieme si perfezionano l’un l’altro e perfezionano le idee.”
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[Fonti: “Feltrinelli Real Cinema, Steve Jobs – L’intervista perduta, Feltrinelli, Milano 2012″ | “Walter Isaacson, Steve Jobs, Mondadori, Milano 2011″]