Alla conferenza virtuale Computers, Privacy, and Data Protection, Tim Cook ha risposto indirettamente alle accuse formulate da Mark Zuckerberg, e anche l’iCEO ci è andato giù pesante. A suo modo di vedere, il modello di business di Facebook va rivisto dalle fondamenta perché non soltanto polarizza l’informazione pubblica, ma può generare degli autentici mostri. Ecco perché la battaglia per la privacy è “una delle questioni più importanti del nostro secolo.”
Le feature anti-tracking e proteggi-privacy di iOS 14, che tanto fastidio danno a Facebook, sono solo la punta dell’Iceberg. In realtà, spiega Cook, in ballo c’è molto più che un pugno di informazioni personali, ma la tenuta dell’intero tessuto sociale, senza contare -ma questo lo aggiungiamo noi- l’assenza degli Stati che è ora che tornino a fare gli Stati.
Scambio di Accuse
L’accusa di Zuckerberg è pesante e circostanziata, e prefigura un colossale scontro tra giganti all’orizzonte. Durante la presentazione degli ultimi risultati fiscali, Zuckerberg ha dichiarato:
Apple ha tutto l’interesse a usare la propria posizione di piattaforma dominante per interferire con le modalità con cui le nostre app e le app altrui funzionano, il che avviene regolarmente. Dicono di farlo per aiutare le persone, ma queste mosse smascherano chiaramente i loro interessi competitivi.”
La risposta di Tim Cook non si è fatta attendere, e invita a guardare al grande disegno delle cose:
“In un momento di disinformazione incontrollata e teorie cospirazioniste distillate dagli algoritmi, non possiamo più chiudere un occhio ad una teoria della tecnologia secondo cui tutto l’engagement è buon engagement -più ce n’è e meglio- e questo solo per il fine di collezionare più dati possibile. In molti si stanno chiedendo “quanto possiamo insistere, senza passare guai?” quando invece dovrebbero chiedersi “quali sono le conseguenze?”
Dopodiché l’affondo: “Quali sono le conseguenze del privilegiare le teorie cospirazioniste e gli incitamenti alla violenza, solo perché hanno elevati livelli di engagement?” E ancora, “quali sono le conseguenze non solo di tollerare, ma addirittura di premiare contenuti che minano la fiducia pubblica nelle vaccinazioni salva-vita?”
Il Problema di Facebook
Possiamo dirci una cosa tra noi, senza veli, come viene viene, e in tutta onestà? Facebook è un mezzo potente che ha rivoluzionato le nostre esistenze, fatto da collante tra persone lontane, e ispirato addirittura movimenti politici. Ma al contempo, è anche irrimediabilmente pieno di monnezza. Slavine, tonnellate infinite di falsità, fake news, bugie ascientifiche che si riproducono per autogemmazione, e che più si propagano e più diventano verità per milioni di persone.
Facebook non ha mai fatto distinzione tra vero e falso, lasciando ai singoli il compito di dirimere e premiare i contenuti meritevoli. Ma la mente umana è molto complessa, e crea dei cortocircuiti che possono avere ripercussioni sull’intera società.
Innanzitutto, diciamocelo con franchezza: non tutti gli utenti di Facebook hanno le capacità cognitive e la cultura necessarie per analizzare un flusso di informazione costante e non verificato. Punto, e inutile girarci attorno. Ma ci sono anche altri meccanismi che entrano in gioco. Per esempio, spiega la psicologia sociale, se una notizia ci arriva da una persona fidata, noi di primo acchito tendiamo a crederci; a prescindere dal livello di preparazione e di cultura. Si chiama “economia cognitiva” e colpisce tutti.
L’unico strumento che abbiamo per impedirlo è il cosiddetto “fact checking”, cioè andare a verificare se la notizia che abbiamo appena letto (spesso impacchettata per generare entusiasmo o indignazione) sia veritiera: ma quanti lo fanno?
La Questione Sociale
Quali sono le conseguenze nel “vedere migliaia di utenti unirsi in gruppi estremisti, e poi perpetuare un algoritmo che consiglia ancora altri gruppi ancora più estremisti?” si chiede Tim Cook. “È giunta l’ora di smetterla di far finta che questo approccio non abbia un costo, in termini di polarizzazione, di perdita di fiducia e, sì, di violenza. Non possiamo permettere a un dilemma sociale di diventare una catastrofe sociale.”
E lo ripetiamo, per dare il tempo a questa idea di entrare nella mente, posarsi e creare le necessarie ramificazioni:
“Non possiamo permettere a un dilemma sociale di diventare una catastrofe sociale.”
E qui veniamo al nocciolo della questione. Tim Cook ha profondamente ragione, ma queste parole avremmo voluto sentirle dall’Unione Europea, ad esempio, dagli Stati e dai governi, che invece entrano nella questione solo quando c’è da infilare una backdoor per spiare i cittadini.
La verità è che qui c’è il CEO di una società privata, con una capitalizzazione in Borsa e risorse nei forzieri off-shore che superano il PIL dell’Italia, che è più avanti di qualunque struttura democratica cui sarebbe in teoria demandata la gestione di tali tematiche. Apple, Google, Amazon, economie da Stati sovrani che hanno idee molto precise su inclusività, diritti civili, diversità di genere, parità salariale, e che spesso si rivelano più progressiste dei paesi che le ospitano.
Non sappiamo dove ci porterà questa strada, ma il punto di non ritorno è già stato superato. E mentre una politica lenta, gerontocratica e auto-referenziale si domanda ancora “che succede?” come Morgan nel meme, a quanto pare il mondo digitale sta già riformando sé stesso.