Mentre noi ancora attendiamo l’uscita di Leopard (a proposito, fonti anonime riportano che sia stata spedita ad un ristrettissimo gruppo di sviluppatori una versione Release Candidate), a Cupertino già pensano al futuro e, in particolare, alle release successive di Mac OS.
Pur in ovvia carenza di dettagli, sono in campo diverse teorie su quale strada Apple imboccherà. Sono molti, tuttavia, a pensare che la versione 10.5 sarà l’ultimo Mac OS X che installeremo sui nostri Mac, in quanto ultima release della famiglia dei felini.
C’è chi si chiede se il domino mammals.org, registrato da Cupertino, abbia che fare con il nome dei prossimi Mac OS, e tra gli opinionisti vicini al modo Mac sono identificabili tre distinti partiti.
I più numerosi sono i conservatori. Credono (e sperano) che Apple continui a perseguire la politica dei piccoli passi, e continui a evolvere Mac OS come ha fatto finora. Ritengono ideale una roadmap che preveda una major release di Mac OS ogni 2 anni circa, in cui i tecnici di Cupertino potranno inserire via via tutte le innovazioni del settore, dopo un adeguato test e l’integrazione nella struttura del sistema.
Seguire il partito dei conservatori potrebbe essere, per Apple, la strada migliore per puntare al mercato delle grandi e medie aziende, un mercato ancora vergine per la piattaforma Mac. In questa ottica la pluridecennale amicizia di Steve Jobs con Larry Ellison, fondatore di Oracle, sarebbe un valore aggiunto fondamentale.
Il gruppo di opinione successivo è costituito dalle persone che sono approdate al mondo Apple in tempi recenti. E’ gente che viene dal mondo Windows o più probabilmente dalla galassia Linux. Essi vogliono un futuro in cui l’OS di Cupertino venga trasformato partendo dalle radici, che acquisisca elementi dei concorrenti per incrementare la compatibilità e proporsi come vero leader nel settore dei sistemi operativi.
Solo i linux-delusi, i rivoluzionari dell’informatica convinti che Linux avrebbe cambiato il mondo, ma disillusi dalla realtà dei fatti.
Vorrebbero che Apple abbandonasse il Kernel Mach per passare ad un più diffuso kernel linux, e che venisse introdotta l’emulazione Windows a basso livello. Solo così, sostengono, il prossimo Mac OS potrebbe davvero divenire leader; solo offrendo il meglio delle tecnologie disponibili si potrà raccogliere l’eredità del Davide incompiuto (Linux) e compiere lo storico sorpasso sull’OS di Redmond.
Se i conservatori legano il proprio futuro alla persona di Larry Ellison, i rivoluzionari non possono che sperare in Al Gore, ex vicepresidente degli USA, membro del consiglio di amministrazione di Apple e paladino della guerra al riscaldamento globale.
Dopo conservatori e rivoluzionari, è tempo di conoscere l’ultimo dei partiti da prendere in considerazione. Nessuna metafora politica è possibile qui: si tratta dei geek.
Questi sono interessati solo all’evoluzione tecnologica, alle novità offerte dalla ricerca, alle nuove strade aperte dai più brillanti di loro. I geek sognano, come i rivoluzionari, un sistema sempre più aperto e compatibile; ma sognano anche, come i conservatori, una evoluzione continua.
C’è un concetto, un’idea, che sta a loro molto a cuore: il network computing. Poter operare in remoto apre un interno nuovo mondo di possibilità, a patto che le aziende non lo facciano con lo scopo esclusivo di tenere sotto controllo i propri prodotti.
I geek non sono interessati alla potenza fine a se stessa, vogliono modularità, e servizi on-demand fortemente personalizzabili.
Il Mac del futuro dovrebbe, per loro, essere il frutto di un matrimonio a tre tra laptop, thin client e Google Apps.
Senza ombra di dubbio il partito dei geek ha, come suo punto di riferimento, Eric Schmidt, CEO di Google e neo membro del C.d.A. di Cupertino.
Questa carrellata semiseria prospetta le principali prospettive per il futuro, non solo di Mac OS, ma dell’intero mondo dell’informatica. La voglia di innovare, radicata nel DNA di Apple, ci rassicura e ci dice che, qualsiasi sarà la via intrapresa, Apple ne sarà pioniere.
Ma, per ora, godiamoci Leopard…