Un interessante articolo di Ted Landau spiega alcuni dei problemi in cui potrebbero incappare presto gli utenti che dovessero decidere di trattare le applicazioni acquistate sul Mac App Store come normalissimo software. Freeware o no, ci troveremo presto a scontrarci con alcune fastidiose restrizioni cui non eravamo semplicemente abituati.
Anche se serbano denominazione e 99,9% del codice in comune, un’applicazione scaricata dal suo sito Web e l’omologa sul Mac App Store non sono identiche. Al suo interno, infatti, ogni versione MAS possiede una cartella chiamata ” _MASReceipt” con dentro il file “receipt” che ne determina il comportamento: parliamo in buona sostanza di un certificato anti-copia, proprio quel famoso certificato che -se non opportunamente controllato- consente di piratare il software. Cancellare la cartella “_MASReceipt”, ovviamente, impedirebbe l’avvio dell’applicazione, ma c’è di più.
Una volta eravamo abituati a spostare le applicazioni (parliamo principalmente dei freeware) da un Mac all’altro sfruttando la rete domestica. D’ora in poi ciò non sarà più possibile perché, al momento del lancio su un computer diverso da quello su cui è avvenuto il primo download, la versione MAS chiederà le credenziali iTunes necessarie ad autorizzare il caricamento. Senza di quelle, e soprattutto senza una connessione ad Internet, niente avvio. Il che non è propriamente uno scenario rassicurante, soprattutto quando ci troviamo in situazioni d’emergenza o col Mac in panne.
Altra limitazione, l’impossibilità (credenziali o meno) di avviare la medesima applicazione su Mac dotati di Sistemi Operativi precedenti a Mac OS X 10.6.6; va da sé che senza il Mac App Store ed i framework di controllo necessari, nessun software potrebbe avviarsi.
La buona notizia, almeno in parte e in apparenza, è che una volta acquistata un’app, la si può utilizzare su tutti i computer che si possiede senza limiti, immettendo su ciascuno di essi le proprie credenziali iTunes. Il problema è che i download effettuati con le credenziali dell’utente A -a pagamento o meno- non potranno essere aggiornati o reinstallati con le credenziali di B: un fastidio che costringerà parecchi a dedicare un account ad ogni computer. Anche perché ipotizziamo che gli utenti papà, per fare un esempio, preferiscano tenere ben distinti i propri account con carta di credito da quelli dei figli.
Ma un altro scenario comune è la condivisione di un Mac, mettiamo tra moglie e marito. Converrà che gli acquisti vengano eseguiti sempre da uno dei due, altrimenti si cadrebbe nuovamente nel balletto delle doppie credenziali per questa o quella applicazione, senza contare che non è possibile installare la medesima app con due account diversi: la licenza è infatti legata al computer in uso. Ma che succede se i due utenti, pur se legati da vincolo matrimoniale, volessero mantenere personale la propria cronologia download ed acquisti? Quasi quasi, verrebbe da suggerire di acquistare un altro Mac.
Insomma, una cosa è certa. Il Mac App Store rappresenterà pure una grossa novità, ma lo scotto da pagare per esso ricadrà direttamente sulle nostre abitudini e ci costerà un po’ di scomodità in più. La stessa Apple che ha sostenuto con vigore la necessità di rimuovere i DRM dalla musica dell’iTunes Store, ora ce ne ripropone le seccature in modo tanto diffuso e pervasivo. In un mondo perfetto, in cui ogni utente possiede un Mac, un iPhone, un iPad, una carta di credito e un account iTunes personali oltre che una connessione perenne al Web, il problema neppure si pone. Il fatto è che non viviamo in un mondo perfetto.